Nonostante il Fuorisalone giochi sempre più d’anticipo, intrecciandosi al calendario del Miart e allargandosi anche fuori dai confini urbani, a Milano la Design Week non si può dire ufficialmente iniziata senza il taglio del nastro del Salone del Mobile, vero motore di tutto quello che succede in città questa settimana. Aperta da martedì 8 aprile fino a domenica 13 aprile a Rho, la 63esima edizione della fiera accoglie quest’anno più di 2100 espositori (con 168 brand che partecipano per la prima volta al Salone e 91 di ritorno) su una superficie espositiva di 169.000 mq, in parte «riorganizzata secondo un layout più fluido rispetto all’impianto a maglia tradizionale, che — spiega il direttore della manifestazione Andrea Vaiani — migliora notevolmente la capacità di memorizzazione e porta un guadagno di strada percorsa, e relativo affaticamento, del 10 per cento».
Ma soprattutto il Salone del Mobile 2025 si distingue per il programma culturale di altissimo livello: due progetti artistici in città (la scenografica libreria di luce progettata da Es Devlin nel cortile della Pinacoteca di Brera e la poetica interpretazione di Bob Wilson della Pietà Rondanini al Castello Sforzesco), la Villa Héritage di Pierre-Yves Rochon ai padiglioni 13 e 15, un ciclo di talk nell’arena disegnata dai Formafantasma tre anni fa (e mantenuta identica anche nel colore, in ottica di sostenibilità), il primo forum sull’illuminazione ospitato in una spettacolare arena in legno progettata da Sou Fujimoto (modulare e riutilizzabile, sempre in ottica di sostenibilità). Infine, e soprattutto, quello che forse era il progetto più atteso: La Dolce Attesa di Paolo Sorrentino, andata immediatamente sold out.
Capsula del tempo, ventre materno, oasi di quiete, l’installazione pensata dal regista è una giostra su cui abbandonarsi per spostarsi lentamente in uno spazio sospeso, completamente distaccato rispetto al resto, dove il tempo si dilata come quando si è in balia di un risultato, un referto o una comunicazione che sembra non arrivare mai. Al contrario di tante sale d’aspetto a cui siamo abituati, dove l’illuminazione è spesso fredda, qui l’atmosfera è calda e accogliente, gli angoli volutamente arrotondati come in una gigantesca culla che abbraccia chi entra e lo invita a prendersi cura di sé. «La luce sembra emanare direttamente dall’installazione, il lavoro è proprio quello di renderla inseparabile dalla scena», spiega il light designer Pasquale Mari.
I visitatori, due alla volta, dopo aver preso un piccolo ascensore, sono accolti da alcuni infermieri (attori del Piccolo Teatro) che li accompagnano ad accomodarsi su lettini-chaise longue dalla forma avvolgente che si muovono lungo un binario verso la porta di un’altra piccola stanza, dove viene consegnata loro una cartolina. Al centro, una sorta di caleidoscopio nasconde un cuore, il cui battito è amplificato e accompagnato da un sottofondo sonoro di Max Casacci dei Subsonica. «È un invito a rilassarsi in uno spazio sospeso, senza l’ansia e la paura che generalmente si ha quando si attende un referto medico. Siamo all’interno di una cardiologia, come indica la scritta in fondo alla stanza, ma è un ambiente dolce, non c’è inquietudine. Questo per me è stato un sollievo perché ho passato tre anni dentro gli ospedali, per mio marito che è morto lo scorso anno (il designer Italo Rota, ndr)», racconta la scenografa Margherita Palli che ha dato forma ai pensieri del regista premio Oscar. «Qui l’attesa è dolce, è un po’ come essere dentro di un utero materno, è come un sogno».
Difficile trovare un legame diretto tra questa stanza e le scenografie dei film di Sorrentino. «Ha dato indicazioni molto precise sia sui colori delle pareti che delle poltrone, non ha citato dei film in particolare, né suoi né di altri», continua Palli. Le chiediamo se c’è qualche titolo in particolare che ha avuto in mente mentre lavorava al progetto. «Uno dei primi film di Sorrentino che ho visto è Le conseguenze dell’amore, si svolge a Chiasso tra luoghi che conosco molto bene essendo ticinese, come conosco bene anche le banche svizzere, molto diverse da quelle italiane. Ecco, mi è capitato di pensare più volte a quel film. Il progetto non è ispirato al film, però mi tornava in mente spesso l’immagine che il regista dà di quei luoghi. È un film drammatico ma c’è una certa tranquillità quando il protagonista va in banca». Quella stessa atmosfera sospesa e rarefatta, in cui tutto sembra perfetto, che ritroviamo nell’installazione.
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