Carlo Ratti: «La mia Biennale, un invito all’adattamento»

The Third Paradise Perspective. Foto Marco Zorzanello

Colpa di un involontario cortocircuito sinestesico, ma al solo accenno alla parola ‘intelligenza’ nell’immaginario collettivo sembrano affiorare ombre umanoidi, movimenti meccanici e suoni sintetici di conversazioni in modalità deep learning. Luoghi comuni che la 19. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia curata da Carlo Ratti prova a scardinare: «Intelligens. Natural. Artificial. Collective (dal 10 maggio a domenica 23 novembre) non è una celebrazione della tecnologia», ammonisce l’architetto italiano, «e neppure un carotaggio spinto nel mondo della robotica e dell’AI», piuttosto un invito a guardare a tutte le molteplici declinazioni dell’ingegno, per ricondurre la loro applicazione all’urgenza della crisi climatica.

«La mia idea iniziale per questa Biennale», confida raggiunto al telefono, «era di intitolarla ‘NI. Intelligenza Naturale’, un omaggio ai talenti dei quali l’architettura, da diecimila anni a questa parte, si nutre». Ma anche in questo caso, il rischio di agganciare scenari distopici, tendenti all’autarchia più retriva, ha spinto per un titolo più largo, inclusivo: “Con ‘intelli-gens’, participio presente del verbo latino ‘intelligere’, intendiamo riportare la disciplina alla comprensione del dato di realtà, quindi la collettività, le comunità, la molteplicità di ‘gens’ alla cura delle sorti del Pianeta».

Carlo Ratti: «La mia Biennale, un invito all’adattamento»
Foto Andrea Avezzù

Pioniere nel campo delle smart cities, uno studio, il CRA-Carlo Ratti Associati con sedi a Torino, New York City e Londra, e una cattedra al MIT di Boston, il curatore è considerato tra le menti più brillanti del XXI secolo. Lo si era intuito già nel 2006, quando con i progetti Real Time Rome e Digital Water Pavilion, per la Biennale di Architettura di Venezia e l’Expo di Saragozza, ha attraversato, per primo, il confine tra naturale e artificiale. «In entrambe i casi, la lettura dei dati relativi al traffico in rete e al consumo dell’acqua ci ha consentito di leggere la città come un organismo vivente», un ecosistema biologico i cui ritmi regolano la vita dell’intero Pianeta. Comprendere, dunque ‘intelligere’, il suo primo passo verso l’adattamento.

Perché questo Ratti mette in scena: l’adattamento. Supera la mitigazione, concetto recentemente formulato nel PNRR, per far fronte, con realismo, alle sfide imposte dal cambiamento climatico. «Gli incendi di Los Angeles, le alluvioni di Valencia, le grandinate di Parigi non ci lasciano più tempo: l’adattamento deve diventare un punto centrale nelle strategie ambientali», afferma l’architetto che, il 24 aprile, a Madrid, insieme al Presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez, ha sottoscritto un appello all’azione. Intelligens: Verso una Nuova Architettura dellAdattamento è il titolo del manifesto per il futuro dellarchitettura, redatto e rivolto agli architetti di tutto il mondo.

Carlo Ratti: «La mia Biennale, un invito all’adattamento»
Foto Andrea Avezzù

«Il sogno di Ildefons Cerdà i Sunyer, urbanista e ingegnere spagnolo, oggi è quasi realtà», riflette con soddisfazione, evocando il lavoro dell’urbanista e ingegnere spagnolo. Autore del trattato Teoría general de la urbanización — testo caro al curatore —, «è stato proprio il padre della Barcellona moderna, già nella seconda metà dell’Ottocento, a interrogare la disciplina sulla possibilità di usare i dati per ‘intelligere’ la città in modo nuovo».

A dispetto di chi crede che l’architettura debba fare tutto da sola, rimanendo saldamente ancorata alle questioni dell’ambiente costruito, quest’anno la Biennale tiene il punto aprendosi al dialogo, per quanto possibile ancor più diretto, non tanto con l’arte quanto con il mondo della scienza: «Se è vero che architetti e artisti hanno la capacità di immaginare e sviluppare visioni e scenari, oggi», ancor più degli ingegneri, «sono gli scienziati della Terra a renderli possibili», è davvero la fine di uno status symbol professionale. «L’urgenza climatica impone agli architetti di collaborare in maniera paritaria con tutti i professionisti, delegando l’autorialità alla pratica collettiva», una svolta partecipativa che fa la storia della Biennale.

Carlo Ratti: «La mia Biennale, un invito all’adattamento»
Circularity Handbook. Foto Marco Zorzanello

Per sua natura predisposta all’accoglienza, Venezia si appresta dunque a diventare laboratorio a cielo aperto per il clima: complice l’inagibilità del Padiglione Centrale, molti dei lavori selezionati saranno infatti diffusi oltre i Giardini. «Nonostante si ritrovi con i piedi a bagno e un Mose che, come tutti sanno, tra qualche decennio non sarà più in grado di reggere la portata delle maree, la Laguna è un buon esempio di adattabilità», ribadisce l’esperto di smart cities. «Addomesticata e resa nel tempo abitabile da chi ha saputo assecondare i cicli di vita dell’ambiente naturale, la città è scrigno di dati preziosi da mappare, elaborare, restituire per salvare sé stessa e tutte le città diversamente fragili», perché «Quando parli di una città, parli di Venezia, perché Venezia le racchiude tutte, così scriveva Italo Calvino in Le città invisibili», così ricorda Carlo Ratti.

«Ho sempre pensato alla città come a un’entità femminile, perché sin dalle sue origini, dalla fine del Neolitico, identifica quella dimensione nella quale insieme siamo più di quanto ciascuno di noi è individualmente», e il progetto di Diane von Fürstenberg mette in scena proprio questo concetto. «Ma a ben guardare le condizioni in cui versano oggi, le metropoli mi sembrano più simili a un organismo fluido, stretto e costretto tra inclusione e tensione».

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Necto. Foto Marco Zorzanello

Carlo Ratti allarga la visione da Venezia puntando Milano, dove il 12 maggio inaugura Inequalities, la 24a Esposizione Internazionale alla Triennale (dal 13 maggio al 9 novembre). È insieme a Richard Sennett che mette a sistema intelligenze e diseguaglianze per aprire una riflessione sul tema di ghetto liminale. «Dal sestiere di Cannaregio, il primo ghetto d’Europa, alle faglie invisibili dove, oggi per esempio a Milano, vengono confinate comunità marginali e minoranze: esistono spazi di segregazione dei quali non abbiamo consapevolezza, e nei quali probabilmente non mettiamo neppure piede, ma che esistono e agiscono sull’anima femminile della città, nutrendo il conflitto. Per vederli, per comprenderne il senso è ancora una questione di dati».

Intelligere. È un verbo latino a consentire all’architettura, anche in Occidente, di tornare a giocare il suo ruolo: «Mi piace questa dialettica tra Venezia e Milano, mettere a sistema due questioni profondamente connesse come il clima e le diseguaglianze vuol dire riscoprire il valore politico dell’agire progettuale. Questa Biennale non sarà perfetta, ma vuole dare il buon esempio».

A chi si chiede cosa sia la perfezione per Carlo Ratti è presto detto: «La perfezione è un concetto estraneo all’architettura quanto alle città, ecosistemi che si nutrono entrambi di tentativi e prove di errore. Funzionano meglio quelli che coltivano e proteggono la biodiversità, foreste metropolitane nelle quali la natura partecipa alla soluzione dei problemi». E mitiga, prima ancora di adattarsi, gli errori dell’uomo.

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