«È come ripercorrere la mia vita». Capelli bianchi e passo sicuro, Penelope Evatt porta con raffinata eleganza i suoi 87 anni, molti dei quali passati insieme al marito e partner professionale Harry Seidler. È stata lei a tagliare il nastro della mostra Migrating Modernism. The architecture of Harry Seidler con cui a Venezia è stato inaugurato il nuovo SMAC San Marco Art Gallery, centro artistico permanente al secondo piano delle Procuratie di Piazza San Marco che mira a proporre nomi poco (o per nulla) noti al grande pubblico. Com’è il caso appunto di Harry Seidler, architetto ebreo, nato a Vienna nel 1923 e costretto a fuggire dal nazismo, la cui vita da esule lo portò infine a naturalizzarsi in Australia sino alla morte avvenuta nel 2006 a Sidney, all’età di 82 anni.
Fu lui che portò i precetti del Bauhaus in Australia. Un Modernismo che fu in grado di migrare con lui. Lui che, nella vita, sempre definì il Modernismo come un flusso continuo, lui che in eterno si sentì un migrante. Un totale di 119 edifici progettati lungo l’intera carriera – di cui solo 23 fuori dall’Australia – Harry Seidler morì che ancora parlava il viennese antico, orgoglioso di non aver perso l’accento imperiale. Mentre la moglie Penelope ancora oggi ricorda che visse come «un vero e proprio ritorno a casa» uno dei suoi ultimi lavori, finalmente in Austria: tra il 1999 e il 2002, il grattacielo Hochhaus Neue Donau, uno degli edifici residenziali più alti di Vienna, 120 metri e 32 piani.
Figlio di un imprenditore tessile, Harry Seidler riparò adolescente in Inghilterra, dove studiò edilizia e costruzioni al Cambridgeshire Technical School. Successivamente dichiarato “nemico straniero” dalle autorità britanniche, fu internato dal 1940-41 prima nei campi di Huyton vicino a Liverpool, poi sull’isola di Man e infine fu deportato in Quebec. È in libertà vigilata, all’Università di Manitoba in Canada, che nel 1944 si laureò in architettura, con lode. A 21 anni ottenne l’abilitazione alla professione in Ontario, poi vennero gli Stati Uniti d’America. Sebbene l’esperienza del Bauhaus poteva allora dirsi chiusa, fu lì che si erano rifugiati i maestri, altri esuli come lui, con cui impostò il suo sapere. Nel 1945, frequentò la Harvard Graduate School of Design con Walter Gropius e con Marcel Breuer, di cui fu primo assistente a New York, dal 1946 al 1948. Inoltre, lavorò con Alvar Aalto a Boston. Studiò estetica al Black Mountain College con il pittore Josef Albers. E affiancò l’architetto Oscar Niemeyer a Rio de Janeiro.

Il primo edificio con cui il Modernismo migrò in Australia fu la casa che Harry costruì per i propri genitori. Si erano stabiliti lì da alcuni anni e la madre insisteva nelle sue lettere affinché il figlio potesse raggiungerli. Lui si diede disponibile a progettare la loro abitazione nei boschi di Wahroonga, nei sobborghi di Sydney, intenzionato a rimanere per il tempo strettamente necessario per i lavori. Aveva 25 anni, era il 1948; da allora vi restò per sempre, diventando cittadino australiano esattamente dieci anni dopo. Quella casa, nota come Rose Seidler House, nel 1951 vinse il Sulman Prize, dandogli la notorietà, e nel 1991 venne trasformata in casa museo.
È allora che fu consacrato come il padre del modernismo australiano e lo SMAC di Venezia dà conto di queste evoluzioni in un ricco percorso cronologico. Otto sale e centinaia di pezzi esposti, tra tele, arazzi, fotografie, stampe, modellini, riviste, lettere e documenti d’archivio: la retrospettiva è un’occasione unica per ripercorrere la carriera di Harry Seidler, dalle commesse pubbliche a quelle private, dal legno al calcestruzzo, dal rigore squadrato alle curve interagenti.
In mostra, il progetto per l’Australia Square e il sostegno a Jørn Utzon, rimosso dal suo cantiere all’Opera House di Sidney. Gli scatti del più noto fotografo australiano di architettura Max Dupain e i disegni di Pier Luigi Nervi, con cui collaborò negli Anni 60 e 70; le travi a T di Nervi ai Seidler Office di Milsons Point e l’ispirazione dal suo mentore Josef Albers nelle finestre della Blues Point Tower e nei balconi della Horizon Tower, fino al MLC Center di Sidney; le collaborazioni con artisti visivi come Alexander Calder, Frank Stella e Sol LeWitt. Di questi la mostra di Venezia mantiene ricordo e propone opere come un piccolo arazzo di prova di Helen Frankenthaler e il dipinto di Theo van Doesburg a cui Seidler stesso spiegò di essersi rifatto per l’impostazione tridimensionale della sua Rose Seidler House, Space-time construction #3 del 1923.
«Questa mostra nasce per Penelope – racconta uno dei tre soci fondatori di SMAC, David Gramazio. – Ci trovavamo a Hong Kong per Art Basel. David Hrankovic (altro socio fondatore di SMAC, con Anna Bursaux) si affaccia dal tredicesimo piano dell’hotel China Club e nota questa struttura modernista, l’Hong Kong Club Building. Scopriamo che è stato progettato da Harry Seidler nel 1980 e per tutta la settimana David non fa che parlarmi affascinato di lui, documentandosi su ogni aspetto della sua carriera. Poi, passa una settimana e una sera, a una cena di gala, mi presentano Penelope Seidler. E io chiedo: ‘ma è Seidler, parente di Harry Seidler?’ Così è iniziata la nostra amicizia con Penelope». Australiana classe 1938, figlia di un’importante famiglia – suo padre fu legislatore del Nuovo Galles del Sud –, Penelope si laureò in architettura nel 1964 per affiancare Harry nei suoi lavori, insieme progettarono l’abitazione di Killara, nei sobborghi di Sydney, nota come Harry & Penelope Seidler House, con cui nel 1967 vinsero il Wilkinson Award dell’Australian Institute of Architects.
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