Tra i giardini di Palo Verde, un piccolo sobborgo di Palo Alto, a sud-est di San Francisco, l’eco della vicina Silicon Valley arriva flebile come un alito di vento. È in questo contesto di ville e residenze a schiera immerse nel verde che nel 2019 Ayla Christman, insieme al marito Emlen Fischer e ai loro tre figli, ha deciso di acquistare la Green House. La splendida villa monoplanare è stata realizzata nel 1966 da Aaron Green, protégé di Frank Lloyd Wright e suo emissario sulla West Coast.
Lavorando come progettista indipendente, Green concepì questa casa per conto di Joseph Eichler, il celebre costruttore che nel secondo Dopoguerra contribuì a plasmare il paesaggio e l’immaginario della Valley con migliaia di case singole.
La Green House incarna la quintessenza dell’abitazione californiana Mid-century, a cui si aggiunge però il tocco distintivo del grande architetto, come l’incredibile tetto a falda dalle sagome triangolari e la facciata vetrata, composta da una sequenza di linee spezzate.
La struttura si è preservata intatta nel tempo, insieme agli arredi e a tutte le finiture interne: «Ci siamo innamorati subito della casa, con quegli interni originali ancora perfetti e quell’atmosfera modernista così Anni 60», racconta Ayla Christman.
«Ma dopo avervi abitato per un anno con tutta la famiglia, io e mio marito abbiamo sperimentato i vantaggi e gli svantaggi di una casa vecchia di sessant’anni, decidendo di intervenire per renderla più confortevole e più adatta alla vita contemporanea». Le finestre a vetro singolo, le camere piccole e buie e gli impianti datati presentavano il conto dell’obsolescenza, reclamando un profondo refitting.
È così che Neal Schwartz, il fondatore dello studio Schwartz and Architecture incaricato dell’attualizzazione e dell’ampliamento, si è trovato di fronte al dilemma di come confrontarsi con un’opera così compiuta senza tradirla né manometterla: «La nostra sfida è stata quella di proteggere l’integrità del design della casa, aggiungendo allo stesso tempo una quantità sostanziale di spazio per renderla funzionale a una giovane famiglia con tre bambini», ha spiegato l’architetto. «Dopo aver riflettuto molto, il principio a cui ci siamo attenuti è quello del ‘primum non nocere’, prima di tutto non far danni, il motto attribuito a Ippocrate, il fondatore della medicina».
La metafora medica si adatta perfettamente al tipo di approccio scelto per intervenire. I progettisti hanno immaginato un lavoro di ampliamento sostanziale ma impercettibile, un undetectable lifting sui margini e sui dettagli: ciò ha permesso di ‘stretchare’ la casa sul retro, aggiungendo nuovi volumi ai lati e sul fronte, con apparente naturalezza che salvaguarda la continuità stilistica originale.
Le travi del tetto esistente sono state tagliate per aumentare l’altezza mantenendone il ritmo e l’inclinazione: un intervento indispensabile per espandere la copertura sui nuovi volumi e aggiungere luminosità a quelli esistenti.
Il nuovo salotto angolare, con un elegante conversation pit perfettamente integrato nell’atmosfera della casa, è stato ricavato dalla chiusura della vecchia pensilina, troppo bassa per accogliere le auto moderne.
La camera padronale su un lato della casa, con bagno en suite e ampie vetrate sul giardino, è un’aggiunta discreta e deferente: utilizzando il medesimo pattern di mattoni in cemento della parete esistente, l’addizione, pur riconoscibile come elemento nuovo, sembra la naturale continuazione della struttura originaria.
Alcuni arredi su misura sono stati mantenuti, altri invece sono stati aggiornati con grande cura, come le poltrone di fronte al camino rivestite con tessuti in fantasia.
Schwartz è riuscito a inserire nel giardino anche una piccola dépendance per gli ospiti e uno studiolo indipendente, dotando la Green House di quattro camere da letto più tre bagni e raddoppiando la superficie dai 140 mq iniziali a oltre 280. Un intervento insieme garbato e consistente, che rispetta e celebra lo spirito modernista di Aaron Green.
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