In mostra a Milano l’universo magico di Leonora Carrington

Leonora Carrington, The Lovers, 1987. FAMM (Female Artists of the Mongins Museum), France / The Levett Collection © Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025

Tremate, tremate, le streghe son tornate. Così Carlos Martín, curatore insieme a Tere Arcq della grande mostra a Milano dedicata a Leonora Carrington ci accoglie nelle sale di Palazzo Reale. Donna emarginata, immigrata, esiliata, madre, sopravvissuta alla violenza e ai trattamenti psichiatrici della sua epoca, Carrington (Lancaster, 6 aprile 1917 – Città del Messico, 25 maggio 2011) ha saputo mischiare storia e mito, pittura rinascimentale italiana, letteratura vittoriana e alchimia medievale per restituire al mondo una pittura mistica. Fin da bambina, nutrita da fiabe, fantasy e racconti popolari, sviluppa un gusto spiccato per il meraviglioso e per l’invenzione di mondi.

allestimento mostra Palazzo Reale Leonora Carrington
L’allestimento della mostra a Palazzo Reale dedicata a Leonora Carrington. Foto Vincenzo Bruno

Questa vocazione affiora prestissimo: nel quaderno infantile Animals of a Different Planit mescola senza timore scienza e immaginazione, basi per una cultura sterminata coltivata, giocoforza, lontana dai collegi cattolici dai quali veniva puntualmente cacciata per la sua indole.

Parte per l’Italia in un viaggio formativo che, pur portandola a contatto con i capolavori della tradizione in Toscana, non ne addomestica l’immaginazione. A quindici anni dipinge la serie Sisters of the Moon, popolata da figure femminili immaginarie, custodi di saperi arcani, e da creature fantastiche che coabitano con gli umani.

Leonora Carrington, Sisters of the Moon, Fantasia, 1933
Leonora Carrington, Sisters of the Moon, Fantasia, 1933. Private Collection PH: courtesy Gallery Wendi Norris, San Francisco © Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025

Il sapore di queste opere, anche se più cupo ed enigmatico, è lo stesso che ritroviamo nell’immaginario disneyano che sarebbe emerso qualche anno dopo: sorprendente la somiglianza tra Indovina Zingara di Carrington del 1932 e Biancaneve di Disney del 1937, tra la fata turchina del film d’animazione Pinocchio del ’40 e Iris, dipinto dall’artista appena sette anni prima, dove vediamo una donna con una lunga treccia offrire un frutto a una strana creatura, che fa pensare al diavolo. In filigrana si leggono già i temi che l’accompagneranno per tutta la vita: alleanze tra donne, gusto per il racconto, intreccio con la letteratura, invenzione di mitologie e un interesse costante per l’esoterico.

Nel 1936 due incontri cambiano il suo destino: quello con chi diventerà il suo compagno di vita, il grande artista Max Ernst che la soprannomina “Sposa del Vento”, ma soprattutto quello con il surrealismo, movimento del quale diventerà  figura chiave. Parigi diventa la loro prima dimora, poi un remoto villaggio francese, Saint-Martin-d’Ardèche, dove costruiscono una casa che è più di un rifugio: un universo simbolico, un’opera d’arte totale che intreccia sogni, immagini e vita quotidiana. Carrington dipinge varchi e passaggi, Ernst popola i muri di creature fantastiche. Ma il vento della guerra spazza via quell’incanto ed Ernst viene imprigionato come sospetto nemico. La coppia si spezza.

Lei, sola e smarrita, fugge in Spagna, dove il suo corpo e la sua mente vengono violati e feriti: uno stupro di gruppo, al quale segue un ricovero coatto in un sanatorio a Santander dove viene sottoposta a cure (o meglio, torture) brutali.

L'allestimento della mostra a Palazzo Reale dedicata a Leonora Carrington. Foto Vincenzo Bruno
La mostra a Palazzo Reale dedicata a Leonora Carrington. Foto Vincenzo Bruno

Riesce a scappare in America nel 1941, ma cade in un abisso di follia e lucidità che avrebbe attraversato per sempre la sua arte, alimentando visioni più oscure e segrete. È sorprendente l’opera Garden Bedroom, realizzata proprio in quell’anno, che vede una donna stesa a terra apparentemente calma. Forse è proprio lei stessa che cerca di riprendersi, di riposare. Sembra addirittura sorridere a un coniglio con gli occhi di sangue. Affianco, una figura con lo sguardo perso e i capelli arruffati è su un cavallo a dondolo: è ancora lei? Sta cercando un piglio con la propria infanzia? O si sta muovendo verso quel letto a baldacchino tipico delle annunciazioni rinascimentali per attendere un messaggio di salvezza?

A New York ritrova i compagni surrealisti e trasforma il dolore in immagini sempre più complesse, cercando di decifrare il trauma. Da quell’esperienza di sradicamento e perdita scaturisce una metamorfosi: la sua pittura e la sua scrittura diventano specchi di un viaggio interiore, segnati dal fuoco della guerra, dalla ferita della malattia, ma anche da una forza creativa capace di trasfigurare ogni rovina.

Sceglie una nuova meta, questa volta definitiva. Il Messico non è solamente la sua casa, ma un rifugio di esuli europei che arricchiscono la sua visione e il suo linguaggio artistico che, ancora una volta, muta radicalmente nutrito dalle esperienze della vita quotidiana: la costruzione di una dimora, la maternità, il riaffiorare di memorie infantili, sospese tra incanto e inquietudine.

Leonora Carringotn. Foto Vincenzo Bruno
Foto Vincenzo Bruno

I suoi tanti viaggi si intrecciano in una miscela di conoscenze, che si presenta in mostra con immagini pastorali e oniriche come La tentazione di San’Antonio, dove il santo si fa alchimista e converte la tentazione in una comunità di esseri fantastici. Una sacerdotessa calva opera su un calderone con un corvo in testa, la regina di Saba è il centro di un rito pagano, uno strano essere con testa d’ariete genera un fiume da un’anfora, in una sorta di atto di purificazione. Scene intime e simboliche, in cui il fuoco è benefico, il peccato è uno strumento di conoscenza, la paura si fa armonia.

Nel 1948, con la sua prima personale a New York, sostenuta dall’amico Edward James, Carrington rivela la forza enigmatica della sua arte: non semplici immagini letterarie, ma frammenti di sogni distillati, discese nelle caverne dell’inconscio, là dove i desideri si trasformano e diventano mito macabro e ironico.

Nella sezione Il viaggio dell’eroina i demoni di Carrington diventano compagni di viaggio capaci di suggerirle nuove vie: l’unico sentiero è appunto quello di un cammino eroico, un pellegrinaggio verso il risveglio della coscienza. In una prospettiva tutta femminile mappe intime guidano lo sguardo tra simboli, miti e presenze spirituali, intrecciando insegnamenti antichi e domande contemporanee. Ermes, Orfeo, Pitagora, Platone, Zoroastro, Gesù, Buddha nutrono la sua ricerca.

Leonora Carrington, Orplied, 1955
Leonora Carrington, Orplied, 1955. Colección Banco Nacional De México
© Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025

In Orplied del 1955 una processione guidata da un drago vede al centro una portantina con una donna bianchissima che inquieta, perché non capiamo se la stiano celebrando o sacrificando. È un’opera ambientata in una dimensione sconosciuta, che si apre verso l’acqua e la luce, un manifesto per il movimento new age che solo dopo vent’anni avrebbe preso piede negli Stati Uniti come controcultura che mischia la tradizione orientale e occidentale nel segno di una nuova spiritualità, dell’occulto come via maestra, della stregoneria come forma d’unione tra le menti.

Ecco, per Carrington l’oscurità può essere luminosa. Si comporta da “incantatrice dallo sguardo morbido e beffardo” (come diceva di lei il padre del surrealismo André Breton), perché dietro ogni sua opera c’è un segreto che ci fa fremere lo stomaco ancor prima del cervello: chi sono allora “Gli amanti” di quel quadro del 1987? Due figure, una rossa e una blu, trascendono l’idea di amore romantico per celebrare invece un atto alchemico, una fusione tra opposti vegliata da uomini incappucciati illuminati dall’oro della tenda e dalla luce delle stelle. Un lupo antropomorfo si poggia a due bastoni. Ha un calzino rosso. Perché? Ecco Carrington pone domande così assurde, nel segno mistico e fantastico, da indurci a credere che ogni risposta sarà sbagliata e che ogni risposta sarà corretta.

Il fil rouge di tutta l’esposizione però è il potere femminile, che Carrington esalta anche nella dimensione domestica, tra il mito e il folclore che respira fin da bambina grazie alla nonna materna. Nell’ultima parte dell’esposizione c’è proprio un omaggio a Nonna Moorhead, dove mischia simboli irlandesi e tradizioni messicane in una cucina alchemica, un laboratorio dove streghe circondano una grande oca bianca che dà inizio a un rito.

Leonora Carrington, Grandmother Moorhead’s Aromatic Kitchen, 1974
Leonora Carrington, Grandmother Moorhead’s Aromatic Kitchen, 1974
The Charles B. Goddard Center for Visual and Performing Arts – Ardmore, Oklahoma
© Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025

Nel recupero del ruolo centrale che Leonora Carrington ha avuto nella storia dell’arte del ‘900, una menzione speciale va sicuramente a Cecilia Alemani, che nel 2022 ha intitolato l’edizione della Biennale di Venezia da lei diretta come il libro di favole scritto dall’artista, Il latte dei sogni.

E siccome oggi, nel cuore del dibattito contemporaneo, l’identità non è più un confine ma un campo di battaglia simbolico, Leonora Carrington può spingerci in un territorio fluido in cui si ridefiniscono appartenenze, corpi e linguaggi. È qui che l’arte diventa epica, perché non racconta ciò che siamo stati, ma ciò che abbiamo il coraggio di diventare, come lei stessa insegna: “Se sono i miei pensieri, allora posso essere qualsiasi cosa: se esistesse una vera identità individuale, mi piacerebbe trovarla, perché come la verità con la scoperta scompare”.

Leonora Carrington
dove: Palazzo Reale, Milano
quando: 20 settembre – 11 gennaio 2026

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