Charles Gordon-Lennox, undicesimo duca di Richmond, è senza dubbio un aristocratico moderno. Trovatosi a gestire una tenuta tentacolare nel West Sussex di 44 chilometri quadrati (la città di Bergamo, per intenderci, ne copre 40) non si è limitato a circondarsi di buoni amministratori. Ha avuto delle idee. Anzi delle visioni, che hanno traghettato questo po’ po’ di proprietà nell’attualità. ‘Innovatore con radici’, lo descrivono le cronache, capace di trasformare Goodwood in un modello di business.
Fatturato da 135,9 milioni di sterline, secondo il Financial Times. Un milione di visitatori l’anno. Più di 20 iniziative di successo, tra cui la fattoria biologica, i due eventi automobilistici più importanti del Regno Unito e il fiorente satellite di hotel, spa, ristoranti, che ruota attorno alle infrastrutture storiche: l’ippodromo, i campi da golf, cricket e tiro a segno e l’aeroporto della RAF dove si esercitavano gli Spitfire della Seconda guerra mondiale. Dallo scorso maggio, poi, il debutto della Goodwood Art Foundation, il nuovo polo museale outdoor/indoor che unisce installazioni all’aperto e gallerie espositive.

«Per molti, Goodwood è sinonimo di corse di auto e di cavalli», racconta Charles Gordon-Lennox. «Tuttavia, negli ultimi tre secoli, i duchi di Richmond hanno collezionato grandi opere d’arte. Capolavori di Canaletto, Van Dyck, Reynolds, Romney, George Stubbs sono esposti nella casa di famiglia. Fanno parte del mio retaggio, un po’ come la fotografia, una passione fin da giovanissimo.
Ora, eccoci qui: verso il contemporaneo. In questo senso, la Goodwood Art Foundation segna un nuovo importante capitolo nella nostra lunga storia». Non il solito capitolo, però, e non il solito giardino di sculture. Un progetto inedito, piuttosto, che porta avanti una doppia narrazione: artistica, curata da Ann Gallagher, ex direttore delle collezioni britanniche della Tate di Londra, e paesaggistica, affidata a Dan Pearson, pluripremiato landscape designer inglese. Assieme hanno collaborato all’unisono per creare degli ‘spazi’ ben precisi all’interno della tenuta, in cui i visitatori possono imbattersi e incontrare l’arte in un atto di scoperta fortuita.

Un’opera alla volta: per coinvolgenti tête-à-tête senza competitive distrazioni. «Sono stati individuati artisti di fama internazionale – tra gli altri, Rachel Whiteread, Isamu Noguchi, Hélio Oiticica, Rose Wylie –, nomi che hanno qualche affinità con l’ambiente naturale, e sono stati selezionati pezzi delle loro produzioni più recenti o inedite», spiega Gallagher. «In questo modo, il pubblico più informato e gli appassionati hanno qualcosa da scoprire, mentre chi inizialmente è più attratto dal paesaggio ha la possibilità di vedere delle sculture e poi, se lo desidera, approfondirne la conoscenza».
‘Abbattere le barriere, far sì che le persone imparino senza nemmeno saperlo’; ‘uno spettacolo intrigante e invitante’; ‘la campagna del Sussex infestata da lastre di cemento: una rara opportunità di riflettere sul rapporto tra forma e natura’, scrivono i giornali. Natura che non è mai stata così protagonista. Oltre ad aver installato 100.000 bulbi e 1.000 nuovi alberi o sfoltito là dove era necessario, Dan Pearson ha pianificato 24 ‘momenti’ botanici di due settimane ciascuno per tutta la durata dell’anno. Un calendario doppio, che sprigiona sorprese a non finire: visive, emozionali, olfattive.

«Immaginate, per esempio, una distesa di campanule prendere vita in primavera. La vediamo per un istante», dice il paesaggista. «Oppure un ciliegio Yoshino che fiorisce e si illumina nell’oscurità del bosco. Incoraggiati a muoversi intuitivamente all’interno del parco, senza una segnaletica evidente, i visitatori potranno dire: “Diamo un’occhiata ai bucaneve che stanno fiorendo in quella parte del giardino oppure andiamo a sentire il profumo di zucchero bruciato degli arbusti Katsura quando perdono le foglie in autunno”. La sensazione che ne deriva, di essere immersi in una serie di racconti, senza usare parole, diventa un’opera a sé stante».
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