Nel cuore del Quartier Nord, a Bruxelles, tra torri direzionali Anni 60 e un paesaggio in piena trasformazione, The Standard inaugura il suo primo hotel in Belgio all’interno di un edificio che portava già nel nome una vocazione internazionale: il World Trade Center. Oggi, a distanza di decenni, la stessa architettura funzionalista diventa materia viva per un progetto di reinvenzione firmato da Bernard Dubois, che interpreta la verticalità della torre come un laboratorio di atmosfere, riferimenti e stratificazioni culturali.
Dai modernisti – Mies van der Rohe, Philip Johnson, Richard Neutra – ai maestri belgi come Jules Wabbes e Juliaan Lampens, Dubois costruisce un dialogo calibrato, fatto di volumi puri, legno, archi e una palette materica che riscalda l’essenzialità dell’involucro. La facciata a specchio conserva la severità originaria, mentre gli interni rivelano un carattere più morbido, domestico, luminoso.
Una lobby a doppia altezza che apre la scena
L’ingresso, completamente ripensato, stabilisce il ritmo del progetto: un ambiente monumentale su due livelli, segnato da una sequenza di archi che amplifica la profondità e crea un gioco di prospettive. Il legno e i tendaggi attenuano la scala, rendendo l’area accogliente nonostante l’impianto rigoroso e bilanciando monumentalità e intimità.
A fianco si apre Double Standard, il ristorante al piano terra, un mash-up informale tra comfort food americano e piatti belgi, che si allinea all’energia della lobby con un lessico coerente: archi, superfici lucide, pavimento in mattoni che evoca la Glass House di Johnson e, più in generale, l’immaginario modernista.
Camere come micro-architetture
Le 200 camere distribuite lungo 28 piani mettono in scena un’estetica stratificata: boiserie in legno, curvature morbide, motivi circolari e semicircolari, riferimenti Anni 70 e rimandi all’architettura giapponese postmoderna, filtrati attraverso la tradizione belga di Henry van de Velde. Le tende continuano lungo le pareti fino alla testata del letto, creando l’effetto di un angolo visivo amplificato, quasi una stanza d’angolo anche quando non lo è.
Per la prima volta il brand The Standard introduce anche suite pensate per soggiorni di lunga durata, con benefit dedicati e superfici generose, dai 50 ai 74 metri quadrati, alcune con cucina e ampie vetrate a tutta altezza.
Il rooftop Lila29
Al 29° piano, il locale Lila29 regala un panorama completo sulla città, grazie a finestre a tutta altezza e una vasta terrazza. Lo spazio si apre attraverso un sistema di nicchie e quinte di tendaggi leggeri, con banquette geometriche che compongono piccoli salotti sospesi sulla skyline. La tonalità blush, le texture morbide e la circolarità dei percorsi introducono un’atmosfera notturna più intima. La scenografia dell’arrivo – qualche gradino dopo l’ascensore, un piccolo cambio di quota per accedere ai tavoli – costruisce una teatralità volutamente calibrata, che richiama i conversation pit degli Anni 70.

Un progetto che unisce luoghi e identità
Dubois definisce The Standard Brussels come un progetto costruito «sull’autenticità e sulla naturalezza delle connessioni», dove ogni spazio ha una personalità distinta ma vive all’interno di un’unica grammatica progettuale. La presenza di piani occupati da uffici fra l’albergo genera anche un effetto visivo particolare: di notte, solo metà edificio ospita l’hotel, ma la luce delle camere sembra animare l’intera torre, trasformandola in una lanterna urbana.
Più che un semplice restyling, l’intervento restituisce al quartiere, a lungo percepito come distretto esclusivamente amministrativo, un nuovo punto di riferimento pubblico: un hotel contemporaneo che intreccia memoria e proiezione internazionale, proprio come Bruxelles.
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