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Una domenica ho invitato alcuni amici per un brunch. Eravamo in 8 e il primo pensiero è stato per il lato più divertente della faccenda, lo styling, (in cui sono più versata che per la cucina). Ho schierato l’assortimento di tazze collezionate negli anni, piattini di ogni diametro e decoro, un buon numero di teiere e caraffe, un paio di bicchieri a testa, set di posate al gran completo e tovaglioli in stoffe miste, posati con nonchalance creativa, per un tocco di leggerezza.
La tavola era un tripudio di porcellane, un rimbalzo di bagliori dorati, fiori dipinti e qualche fiore vero. Ero fierissima di quella mise en place senza regole che appagava il mio senso estetico e il mio bisogno di bellezza prêt-à-porter. Ma quando ci siamo trovati strizzati in otto con sovrabbondanza di chincaglierie, che essendo disassortite non aiutavano a capire cosa fosse di chi, è stato tutto un passare vassoi di focaccine, piatti di crème caramel e cabaret di brioche come giocolieri sopra le teste e “Ah scusa, questo bicchiere era tuo”, “Vuoi del tè?”, “Aspetta, qual è la mia tazza?”. Abbiamo lottato per un po’ finché mi sono arresa, e alla chetichella ho tolto un piattino qui e un bicchiere lì.
Alla fine è stato comunque un successo. Nessuno ha fatto commenti sulla sovrabbondanza di stoviglie (gli amici sono amici), né io me ne sono pentita: realizzare quella tavola è stato un vero godimento. Alternare forme, materiali e colori cercando equilibrio tra pezzi diversi mi aveva riportata all’infanzia, quando allestivo mercatini da mille e una notte; era stato appagante come dipingere un quadro, ma molto più facile e dunque alla mia portata.
Apparecchiare la tavola è un gesto di ‘arte domestica’ davvero democratico, un gioco di composizione (volendo con risvolti fotografici) con cui tutti possiamo cimentarci. La sua forza sta nel far guardare le cose di tutti i giorni con occhi nuovi. Tovaglie, piatti, posate diventano i colori su una tavolozza: trascendono la valenza funzionale per esprimere quella estetica e in questo passaggio ci offrono la possibilità di creare bellezza pur senza essere artisti. È questo, credo, che mi aveva dato una gioia speciale nel preparare quel brunch, e che può darla anche a chi è invitato (…a patto che non si ecceda col numero di tazze!).
Francesca Magni, direttore
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