Cosa fa oggi un giovane architetto giapponese? Lavora in collettivo. Ristruttura invece di costruire. Si sporca le mani in cantiere. Condivide lo studio con la comunità. Abita ciò che progetta. E soprattutto: fa con ciò che ha. È questo lo spirito della mostra Make Do With Now. Nuovi orientamenti dell’architettura giapponese, ospitata al Teatro dell’architettura di Mendrisio fino al 5 ottobre 2025. Un’esposizione potente, che racconta venti pratiche emergenti del Giappone post-Fukushima, tutte animate da un’idea radicale: l’architettura non è oggetto, ma processo. Non è consumo, ma trasformazione.
In un contesto segnato da crisi economiche, spopolamento rurale, case vuote e scarsità di risorse, questi architetti hanno scelto di non cedere. Come scrive il curatore Yuma Shinohara, «Forse adattarsi non è una rinuncia, ma il modo più intelligente di fiorire».
Il terremoto del 2011 ha segnato uno spartiacque. Da allora, una nuova generazione ha abbandonato la figura dell’architetto-autore e ha dato vita a un nuovo modello di impegno sociale.
Progetti piccoli, idee grandi
Tra le opere in mostra nello spazio all’interno del campus dell’Accademia di architettura – Università della Svizzera italiana progettato da Mario Botta, ci sono una piazza nascosta dentro un edificio abbandonato, una casa in continua evoluzione, un tunnel trasformato in co-working. Architetture minime, quotidiane, ma profondamente politiche.
I materiali sono di recupero, i cantieri spesso autogestiti, gli interventi temporanei e flessibili. L’estetica non è quella patinata del tipico minimalismo giapponese, ma un linguaggio imperfetto, vitale, pieno di storie.
«L’architettura non è più concepita come un singolo oggetto statico, ma piuttosto come una forma dinamica che emerge all’intersezione di molteplici traiettorie materiali» spiega il curatore.

La città come spazio da curare
Molti progetti hanno una dimensione urbana sorprendente. Nonostante l’esclusione dai grandi processi di sviluppo, questi architetti inventano strategie per incidere sul tessuto delle città: corridoi che diventano piazze, spazi semi-pubblici dentro case private, strutture collettive costruite con gli abitanti. Il filo conduttore si riassume in questa domanda: «Invece di rincorrere l’illusione di una crescita continua, cosa accadrebbe se concentrassimo le nostre energie sulla cura dell’esistente?». La mostra – accompagnata da video, modelli e foto con allestimento firmato da Yusuke Seki – è così un invito a rivedere tutto ciò che crediamo sull’architettura: chi la fa, per chi, come e soprattutto perché.
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