ARCHITETTURA
Qualche mese fa il sito d’informazione MeinBezirk dava notizia dei sempre più frequenti incidenti di volatili nella capitale austriaca. A causa dell’ottima visibilità, il cielo si riflette nelle facciate a vetri degli edifici e gli uccelli, che non riconoscono l’ostacolo, ci lasciano le penne. Contrattempi della modernità.
Vienna non è solo Liberty e Barocco, ha anche 42 grattacieli. Il più alto è il DC Tower 1, progettato da Dominique Perrault. Il più sostenibile è HoHo Wien, un ibrido in legno nel distretto di Donaustadt. Quello con il panorama più bello invece è il Sofitel di Jean Nouvel: con un bicchiere di Sekt – lo spumante locale – in mano, dal rooftop si vede un bel pezzo del Danubio.
Serve però la forza dell’immaginazione per individuare da lì la BelView Tower, il palazzo residenziale dalle linee dinamiche proprio dietro il Castello Belvedere. Completato nel 2021, porta la firma di Coop Himmelb(l)au, uno degli studi più quotati al mondo.
«Il design a nastro con logge, balconi e finestre a bovindo», dice il socio fondatore Wolf D. Prix, «è stato costruito secondo parametri ambientali di incidenza del vento, del suono e della luce. Dove il vento è più forte, i balconi sono più chiusi, dove il sole è accecante, le persone si allontanano».
Da qui l’introduzione di elementi opachi e vetrati, lineari e squadrati.
Artefici del decostruttivismo, i Coop Himmelb(l)au hanno conquistato la scena internazionale nel 1988 con un tetto in Falkestrasse n. 6: mix selvaggio di forme contorte e distorte. Sembrava un azzardo, ha finito con lo spianare la strada al contemporaneo, che da allora è diventato uno dei linguaggi architettonici di Vienna. ‘Parlato’ un po’ ovunque, dal social housing alle infrastrutture.
Tra i lavori più recenti:
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il Future Art Lab, l’avveniristico padiglione universitario con cinema, sala concerti e pareti metallizzate
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il Wien Museum, riaperto dopo l’imponente ristrutturazione a cura del team Certov e Winkler + Ruck: spazi raddoppiati e una terrazza panoramica su Karlsplatz, in pieno centro storico.
A proposito di storia, se volete vedere in un colpo solo le case unifamiliari disegnate da Adolf Loos, Richard Neutra, Josef Frank e Gerrit Rietveld, il Werkbundsiedlung nel 13° distretto è una vera vetrina per appassionati.
Concepito come un complesso residenziale da esposizione per promuovere nuovi stili di vita in abitazioni piccole ma funzionali, presenta tutte le sfaccettature del primo design modernista: settanta edifici per trentaquattro progettisti. Una scoperta.
SCENA CREATIVA
Cosmopolita e sempre ai vertici tra le città con la miglior qualità della vita, Vienna garantisce un ambiente tranquillo, ma non sonnolento.
Leni Piëch, dopo la specializzazione a Londra, è tornata qui per fondare Studio Sphaer, con casa e laboratorio sulle colline, non lontano da dove visse Beethoven: «Mi sembra di sentirlo suonare a volte mentre disegno».
Il suo romanticismo emerge nelle lampade a sospensione delle serie Calliope, Eirene e Theia, in bilico tra arte e design, natura e tecnologia.

Un po’ come la ricerca di Katharina Mischer e Thomas Traxler dello studio mischer’traxler: «Fin dall’inizio abbiamo improntato il nostro lavoro all’interazione. C’è un racconto dietro ogni progetto, infinite storie e tante mani che contribuiscono alla realizzazione».
Un processo creativo condiviso in lectures e incontri pubblici in musei e università.
Vienna tende a non etichettare, a non porre confini tra le arti.
«All’inizio con i miei soci dello studio Numen/For Use disegnavamo mobili anche per grandi brand. Poi abbiamo deciso di provare strade diverse e siamo passati alle scenografie. Ora ciascuno ha i suoi progetti. Io sperimento coi materiali», racconte Christoph Katzler dal suo studio, una Wunderkammer piena di modellini, nastro adesivo, vinile, corde, colle, cornici.
Lukas Gschwandtner si concentra sulla relazione tra il corpo e lo spazio, come in Triclinium, che traduce le posture in sedute avvolgenti.
Sorprendente anche Luis Niederbuchner, che per Endstation ha utilizzato i corrimano delle scale mobili, mentre Honey & Bunny (Sonja Stummerer e Martin Hablesreiter), partiti dall’architettura, sono arrivati al cibo come oggetto culturale e di design.
Nelle loro performance, mostre e libri, il cibo diventa politica, sostenibilità, fotografia e ricerca.
ARTE
Klimt, Schiele e l’Art Nouveau sono l’anima della Vienna Novecentesca. Stampati su t-shirt e tazze, magneti e portachiavi, sono la punta dell’iceberg artistico della città.
Basta prendere la metropolitana per accorgersene. Da più di vent’anni vengono installate periodicamente nuove opere d’arte contemporanea sulle linee U1, U2 e U3. Anton Lehmden, Ken Lum, Nam June Paik, Christian Kosmas Mayer sono solo alcuni dei nomi coinvolti nella trasformazione di fermate e tunnel pedonali.
Dal sottosuolo alle facciate dei palazzi, un altro investimento costante del Comune di Vienna è legato alla street art, che interrompe il grigio di molti edifici con esplosioni di colori e storie da scovare tenendo lo sguardo all’insù.
Collezioni open air che si affiancano a quelle già ricchissime conservate nei tanti musei cittadini.

Inaugurato nel 2001 nel quartiere dei musei, il mumok è un edificio cubico rivestito in roccia vulcanica grigio antracite progettato dagli architetti Ortner & Ortner per ospitare circa 10mila opere di 1.600 artisti del XX e XXI secolo.
Yoko Ono, Pablo Picasso, la Pop Art e l’Azionismo viennese occupano il grande spazio espositivo che include anche un cinema firmato dal connazionale Heimo Zobernig. Focalizza l’attenzione sull’arte contemporanea austriaca la collezione del Musa.
Molte opere possono anche essere prese in prestito per arredare la propria casa in cambio di un piccolo contributo, ma solo se si è residenti. Nasce proprio dall’attenzione dei viennesi per la progettazione della casa il Mak, museo delle arti applicate che dal 1871 coniuga arte e design con mostre originali come quella dedicata a Dagobert Peche (fino all’11 maggio).
Tra le collezioni private, la Heidi Horten Collection include capolavori del Novecento e contemporanei messi spesso in dialogo nelle luminose sale dell’edificio che li ospita. Punta invece a valorizzare giovani artisti austriaci la galleria Sophie Tappeiner, un punto di riferimento per chi è alla ricerca di nuove tendenze.
LA VIENNA DI ARTHUR ARBESSER
Arthur si è innamorato della moda alla Wiener Staatsoper: «Ci andavo spesso coi miei genitori. Erano gli Anni 90, ci si vestiva elegante. Mi piaceva osservare la gente, più la guardavo, più capivo il potere degli abiti».
Esperienza formativa, ma il sogno di diventare stilista lo realizza a Londra e poi a Milano, dove attualmente vive. «A un certo punto della mia vita ho dovuto allontanarmi da Vienna. La distanza mi ha aiutato a riscoprirla. È una città intensa, simile a Milano, con più cultura. Musica, musei, balletti, l’offerta è impagabile e questo richiama un pubblico internazionale. C’è una bella contaminazione».
Nel board del MAK – Museo di Arti Applicate, consulente creativo di Wittmann, il marchio che tutt’oggi produce i mobili di Josef Hoffmann, costumista per concerti e balletti, curatore di due stanze all’hotel Altstadt, dice di passare più tempo a Vienna adesso che ha 42 anni rispetto a quando ne aveva 19.
Ogni sei mesi i pop up della sua etichetta sono anche l’occasione per incontrare il fan club.
Lo stile grafico, quasi architettonico, innovativo eppure atemporale, trova grandi ammiratori da queste parti: «È tipico della città vivere un po’ fuori dal tempo. Gli scacchi bianchi e neri, le righe di Hoffmann, il rigore di Adolf Loos, ma anche negozi storici come la cristalleria Lobmeyr, uno degli ultimi rimasti sulla Kaerntner Strasse, hanno abituato il mio occhio a vedere certe cose».
Un allenamento alla bellezza.
«Il mercato delle pulci del sabato lo fanno lungo la Wienzeile, proprio di fronte ad alcuni palazzi Jugendstil. Stupendi. Il ristorante Salzamt e il Kleines Café sono entrambi progettati da Hermann Czech, uno dei più importanti architetti austriaci con un gusto super chic. Considera che per tanti viennesi, le caffetterie sono una seconda casa. Non bevono il caffè al banco. Si siedono e con calma leggono il giornale. Il ritmo qui è più pigro, eppure molto sano. Il rovescio della medaglia sono i camerieri, quelli classici con gilet e papillon. Tipi scorbutici. Ormai ci rido sopra, ma bisogna essere preparati».
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