“C’è una citazione di Monet molto bella, che racconta bene il mio lavoro. Gli altri pittori, diceva l’artista delle ninfee, dipingono un ponte, una casa, una barca. Lui invece voleva immortalare l’area che circonda il ponte, la casa, la barca. Insomma, Monet suggeriva di cercare la bellezza della luce in cui le cose esistono”.
Gaspare De Pascali, lo scenografo di Duse, racconta il suo approccio al nuovo film di Pietro Marcello, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e uscito in sala lo scorso settembre. “Questa frase è una metafora che racconta come la scenografia non sia solo l’oggetto ma anche l’aria”.
Nato in Puglia, ma ravennate di adozione, De Pascali è cresciuto sotto il cielo stellato del Mausoleo di Galla Placidia. Studi d’arte a Bologna, poi esperienze in Australia, Medio Oriente, Messico, Francia e Spagna anche se a insegnargli il mestiere è stata Cinecittà.

Come hai iniziato a lavorare su questo film di Pietro Marcello?
Tutto è iniziato alla fine del 2023, quando abbiamo iniziato la fase di preparazione. Siamo partiti dai primi sopralluoghi e da lunghe ricerche, abbiamo cercato e visitato luoghi, abbiamo trovato delle alternative. Abbiamo studiato come costruire le battaglie e cosa è stato il teatro. Pietro Marcello è re dell’arte documentaristica, ha una grande virtù verso il realismo.
Quanto conta la ricerca nella scenografia?
La ricerca è stata soprattutto un lavoro di cura nei dettagli e di qualsiasi cosa sia in scena. Come scenografo non mi limito solo all’oggettistica, ma a tutto ciò che è l’ambiente attorno agli attori, l’atmosfera che li circonda.
Una carriera, la tua, che parte dal teatro e arriva al cinema. In questo caso ti sei trovato a raccontare la Divina che viveva e voleva morire sul palcoscenico.
Si può dire che in questo film, il teatro diventi cinema e il cinema teatro. Sia a livello scenografico che a livello autoriale. C’è un punto del film in cui tutto diventa la stessa cosa, volutamente.

Quali sono state le ispirazioni?
La nostra ricerca ha riguardato gli stili di quegli anni, per capire come all’epoca si progettava e si ideava una scenografia teatrale, come ad esempio faceva Ibsen. L’abbiamo poi voluta riprodurre nello stesso stile, a livello artigianale ma anche immaginifico, abbiamo coinvolto professionisti che si occupano da anni di questo tipo di fatture.
Come scenografo, non ti occupi solo di aspetti tecnici ma anche di quelli artistici. Come metti insieme questi due mondi?
Credo che l’arte debba essere divisiva, senza una divisione non si crea dibattito. Diciamo che in generale il mio approccio nella prima fase è di tipo creativo. All’inizio di un film cerco riferimenti che mi aiutino ad arrivare all’atmosfera che genera in me la lettura della sceneggiatura. In questo caso riecheggiano le tinte di Vermeer, Bonnard, Courbet.

Il reparto scenografia dialoga costantemente con il regista?
Pietro Marcello è un grande esperto di pittura e di teatro, di artigianalità in generale, è un tipo di regista che non solo lascia una visione, ma conosce a fondo anche la tecnica. Ovviamente il nostro reparto è in un rapporto diretto anche con la fotografia che giocando con la luce crea gli spazi e le forme. Si crea un legame con tutti, anche con chi lavora con i costumi, anche perché un buon film è merito di tutti. La scenografia, però, prova a cogliere il pulviscolo.

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