Il design in mostra nel giardino di un’antica antica dimora toscana

Foto Dario Borruto

Design in a Real World non è solo il titolo di una mostra diffusa tra alberi d’ulivo, orti biodinamici e cespugli di lavanda, ma il segnale che qualcosa sta cambiando anche nella narrazione dell’art design: da fenomeno di consumo elitario e metropolitano, la produzione di edizioni uniche e limitate, tenta di farsi manifesto di un modo di vivere e lavorare più lento e riflessivo. Che nella Terra di Toscana prova a riscattare la sua dimensione local.

Merito di Marleen e Luc Van Marcke, dal 2015 proprietari dell’antica dimora del XVIII secolo nel borgo di Vorno (Lucca), in cui plana Vestigia. E merito di Jonathan Bocca, il giovane designer lucchese incontrato ad Alcova nel 2023 al quale la facoltosa coppia belga affida il progetto di connessione tra design e territorio.

Carnagione chiara e capelli biondi che sfiorano le spalle lasciano immaginare origini vichinghe, in realtà Jonathan Bocca è un buttero gentile che trasforma scarti di cartapesta e ghiere metalliche in poetici omaggi alla sua terra. Oltre gli occhiali da sole dalla montatura pastello, vezzo e schermo protettivo disinvolto, si nasconde una sensibilità progettuale ancora candida: dopo il diploma allo Ied di Firenze, il suo CV è una progressione di esperienze e incontri che da Milano lo catapultano a Miami e poi nei giardini di questo borgo incantato.

Con lui, una rosa di colleghi non solo toscani, scelti per affinità creativa: ovvero perché capaci di rendere omaggio alla tradizione artigianale e di ingaggiare, non ammaliare, il pubblico in un dialogo aperto e sincero. Adagiati tra il verde del paesaggio, sino al 28 settembre troneggiano le esplorazioni materiche di Duccio Maria Gambi, decano di una toscanità ruvida e autentica, insieme agli oggetti minuti di Ilaria D’Atri. E poi gli oggetti di Cosimo Bonciani e Sara Ricciardi, le sedute di Finemateria, i pezzi di CCONTINUA+MAMT, Pietro Franceschini, Daniele Giannetti, Iammi e Millim Studio.

Il design in mostra nel giardino di un'antica antica dimora toscana
Camelia di Jonathan Bocca. Foto Dario Borruto

Ma sono le opere di Jonathan Bocca, Costantino Gucci e di Francesco Maria Messina, tutte garbatamente toscane, quelle che più coerentemente interpretano il genio e la tradizione della prima regione al mondo che, nel 1786, ha abolito la pena di morte e la tortura. Per dire, ma andiamo oltre.

“La lampada Camelia è una finestra che si affaccia su un teatro naturale per illuminarlo: mi piace l’idea che le persone, passando accanto alla mia opera, possano scorgere, incorniciati dalla mia ghiera, i musicisti che suonano”, confida Jonathan Bocca. Lui che trasforma cerchi di botti arrugginiti, “le stesse che in passato i contadini usavano per il vino, le conserve e le confetture”, in sculture a misura di landscape: “un’installazione organica che abbraccia il territorio”.

Forse perché ispirato dalla bellezza della sua terra o forse dal lavoro di Gaetano Pesce, “che non si limitava a disegnare funzioni per gli oggetti, ma li animava con le emozioni”, l’unico motivo per cui vale la pena creare con le mani.

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L’opera Oculus Celestia di Costantino Gucci. Foto Dario Borruto

Un po’ come accade per Costantino Gucci, fiorentino, una laurea alla Central Saint Martin di Londra e uno studio a Milano: artista visionario e founder di Celo1, in pochi anni ha scalato il mondo dell’art design per affermarsi nei circuiti del Lake Como Design Festival e di Nomad, e oggi è rappresentato da Movimento Gallery e Rossana Orlandi. Le sue opere sono sofisticate tanto quanto il suo modo di porsi: “Oculus Celestia”, dice Costantino della sua scultura, “è un invito a rallentare, a soffermarsi per poi entrare in uno spazio sospeso dove ciò che è invisibile si rende visibile”. È in questa dimensione intima e concettuale che il lavoro di Gucci esplode la sua poetica: quella di un’opera impercettibilmente dinamica che, con un gioco di trasparenze e sfumature si fa bruma e rugiada per evocare l’incanto di un’alba.

Oculus Celestia richiama la magia e il silenzio di certi momenti in cui il sole si riflette sull’acqua e il cielo abbraccia la terra”, di nuovo, come nel lavoro di Jonathan, “per disegnare insieme una nuova armonia”. Ecco spiegata, con un’immagine, l’eleganza di Costantino Gucci, fatta, come deve essere, di pochi e semplici elementi: inchiostri, luci e superfici riflettenti. Sempre alla ricerca di una possibile relazione che si fa esplorazione anche nel lavoro di Francesco Maria Messina.

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Lunae di Francesco Maria Messina. Foto Dario Borruto

Stanziale a Pisa, Francesco Maria Messina vanta un percorso internazionale che da Parigi lo ha portato a Lione, dove ha conseguito una laurea in architettura e un master, e poi negli States e dall’altra parte dell’Oceano Indiano: “marmo di Carrara, metalli e alabastro di Volterra sono il mio mondo”, confida con la timidezza di chi padroneggia davvero la materia. In attesa di avvicinare le infinite possibilità del sale, di cui ci parlerà presto. Lunae, la scultura installata a pelo d’acqua, nel laghetto artificiale di Villa Marie, è uno specchio in bronzo e ottone massiccio ancorato al fondale da un blocco di pietra calcarea.

Lunae, omaggio al Golfo di Luni”, noto anche come Golfo della Spezia, è un’insenatura del Mar Ligure, situata tra la Liguria e la Toscana, “dove sono cresciuto. E da dove si vedono le cave: dalle Alpi Apuane verso Portovenere, la pietra si fa nera, svelando l’oro delle venature”, è il marmo Portoro, bellissimo. Ma Lunae è anche il satellite del sole che si fa specchio per rifletterne la luce, la stessa che riproduce l’opera sfidando la forza di gravità. Anche Francesco, così come Jonathan lavora con lo scarto, punto focale nel lavoro di entrambi. ‘Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori’.

“Anch’io come cantava De André, non sono spaventato da ciò che apparentemente non ha valore, perché è importante che le persone apprezzino ciò che penso ancor prima di ciò che faccio”, chiude Jonathan Bocca. “In un mondo che vira verso l’apatia, è importante dispensare allegria”. Già, tornare a disegnare la gioia.

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Crisalide di COsimo Bonciani, Bunker Gallery. Foto Dario Borruto
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