Di persona Winy Maas ha un fisico asciutto, da maratoneta. 66 anni, parlantina veloce, a volte incomprensibile. Professore di progettazione al MIT di Boston, urbanista e architetto visionario – la M dello studio olandese MVRDV – è a Venezia per presentare Biotopia, l’ultimo concept realizzato in collaborazione con The Why Factory, l’ambizioso laboratorio di ricerca della Delft University of Technology.
Pensieri radicali, i suoi, abbinati però a un certo pragmatismo progettuale, che con MVRDV ha lasciato il segno. Da Markthal, il primo spazio pubblico al coperto – ormai un’icona della nuova Rotterdam assieme a Depot – a Valley, un complesso a uso misto alla periferia di Amsterdam. Fino a Valley, l’opera che meglio ridefinisce i confini tra estetica, funzionalità e tecnologia.
Cos’è Biotopia?
È un sogno e al tempo stesso un’analisi, basata sui materiali. Il sogno di creare un mondo personalizzato, il più ciclico e flessibile possibile. Questo studio di The Why Factory immagina una ‘spugna globale’ che rinfresca l’ambiente, filtra l’aria, genera energia e protegge la vita.
Ora abbiamo tanti materiali diversi e una richiesta molto alta, che ci porta a inventarne di nuovi: alghe, miceli, cemento vivo. Cerchiamo di farli collaborare tra di loro, dandogli nuove proprietà.
Pensiamo per esempio a un materiale o un composto di materiali che muta nel tempo: fornisce una superficie solida, su cui appoggiarsi, può aprirsi e chiudersi, e poi illumina. Si adatta velocemente – da piccolo a grande –, si assembla, diventa trasparente. Può creare terreno e far crescere piante. Può contenere acqua e produrre energia. È l’inizio di un mondo biologico.
Se immagini questo, ottieni un paesaggio urbano completamente nuovo, in cui la vita umana è più integrata con quella vegetale e animale.
Quanto tempo ci vuole per realizzare una cosa del genere?
Duecento, trecento anni.
Scenari più vicini?
Questo è il quadro generale. Molte cose già si intrecciano. Con Green Dip abbiamo esplorato la relazione tra esseri umani e piante. Ora stiamo pubblicando il libro BiodiverCity. Il prossimo sarà sull’acqua.
Un altro progetto riguarda i droni. Gli incentivi militari hanno portato a un grande progresso della tecnologia dei droni, ma sarebbe meglio studiare la loro applicazione per scopi civili. Questo porta a una serie di speculazioni su quello che dovrebbero e potrebbero fare: collaborare, connettersi, portare carichi, ridurre il rumore, ricaricare energia, riciclare il vento che producono le eliche.
Possiamo anche usarli come strumenti urbanistici e ‘disegnare’ case nel cielo.
Addirittura?
Si va per gradi e si inizia, ovviamente, con il delivery e i servizi medici. Il prossimo passaggio potrebbe riguardare la mobilità. Prima i taxi volanti, poi il resto. A Shenzhen ci sono già le macchine-drone.
Dopo di che si pensa di alloggiare nei droni alcuni tipi di programmi: per lo sviluppo climatico, per esempio, far piovere qua e là, oppure accumulare energia, creare ripari e quindi ombra, facilitare un certo tipo di agricoltura. Infine, potremmo dormirci.
Sembra ottimista…
È lontano, lo ammetto. Ma questa ricerca speculativa è la mia passione. Voglio dire, è una questione personale. Non tutti sono d’accordo. Ci sono in ballo temi morali, sociali, lo capisco perfettamente.
Perché lo faccio, allora? L’iper-simulazione incoraggia gli studenti a pensare in modo più ampio, a ricercare e produrre modelli, a immaginare miglioramenti e soluzioni, e a discuterne. In breve: sono ottimista, sì, non posso credere che un architetto non lo sia, visto che ci occupiamo della costruzione del futuro. Ma questo non mi rende acritico.
Cosa pensa del nuovo umanesimo in architettura?
L’umanesimo è una cosa positiva: dà spazio a tutti, punta all’inclusività, alla collaborazione. Però è solo una parte, no? Ci sono anche le piante e gli animali. Come li vogliamo chiamare: vegetalismo e animalismo? Il problema è che l’uomo occupa troppo spazio sulla Terra a scapito degli habitat naturali.
Quindi?
Nel breve termine, dobbiamo favorire la densità. Questo lascia spazio all’agricoltura e alla natura. Lo dico da anni. Ma ho anche avvertito: nel momento in cui risolveremo il problema dell’energia, potremo viaggiare senza vincoli ambientali, col risultato che il nostro mondo sarà più suburbano.
Fino a quel momento, ho due consigli da dare: densificare le città e coltivare all’interno piante e cibo.
Come si fa a rendere piacevole un contesto così affollato?
Il verde, prima di tutto, con grandi balconi, non piccoli, e alberi. In secondo luogo dare spazio alla libertà. Vuoi avere una casa con giardino? Va bene, lo faccio per te, anche al decimo piano. Il progetto del Vertical Village è proprio questo: creare comunità tridimensionali. Valley è un po’ il punto di partenza.
Cosa avete imparato da questo progetto?
È una torre senza verticalità. Per come sono messi i balconi, puoi vedere solo uno, due piani sotto di te, prima che ci sia un’altra sporgenza, così da ridurre le vertigini. Le persone si siedono tranquillamente sui bordi. Questo è positivo, perché ci permette di andare sempre più in alto con la progettazione.
Con software avanzati abbiamo creato gli script degli appartamenti, ciascuno di forma diversa, ottimizzato per vista, luce, privacy. Le terrazze sono progettate con gli algoritmi. Credo sia innovativo. L’edificio inoltre attira le api, un bene per la biodiversità.
Il mio ideale è un organismo vivente verticale. A Parigi stiamo cercando di realizzare una struttura a telaio per facilitare la modificabilità. Un altro passo avanti verso la flessibilità.
La casa come la immagina: rifugio o interfaccia?
Dovrebbe essere in grado di fare entrambe le cose. Se viaggio, perché non posso portare la casa con me? Ecco l’interfaccia: mobile, senza oggetti. Però ho anche bisogno di un rifugio, di un’identità. Il tema è aperto, così come la possibilità di adattare gli spazi ai nostri desideri.
È davvero fattibile?
Tecnicamente sì. Torniamo alle case volanti. In termini di spazio sono super efficienti: ci sono solo quando ne hai bisogno, poi si spengono, i droni scompaiono e tu voli verso un’altra destinazione.
Se hai bisogno di un bagno, ti creano uno spazio piccolo. Se vuoi parlare con gli amici, disegnano un grande salotto. Il drone diventa un plasma: offre riparo in modo tecnico, ma non emozionale.
Quanto possiamo andare lontano con la tecnologia?
Il ruolo dei robot, dell’informatica e ora dell’intelligenza artificiale non può che crescere. Ci sono elementi che spaventano, altri da migliorare. Ricordo la discussione quando abbiamo fatto Space Fighter, nel 2006, una simulazione
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