Ogni autunno c’è un momento esatto in cui Torino cambia ritmo. È la settimana della Art Week, quando la città si trasforma in un laboratorio diffuso di arti e linguaggi e accoglie fiere, performance e festival che ne ridefiniscono la percezione. L’attenzione si divide tra Artissima e il festival Club to Club, che da oltre vent’anni è una delle presenze più riconoscibili: un osservatorio che esplora il contemporaneo attraverso la musica avant-pop e il dialogo con altre discipline. Ma al di là dei grandi palcoscenici sonori, è al Teatro Regio che prende forma uno dei dialoghi più affascinanti di questa stagione: quello tra musica e architettura, restituendo a uno dei luoghi più iconici della città la sua doppia natura di spazio scenico e dispositivo culturale.
Il 31 Ottobre il festival torinese apre le porte del suo spazio di riflessione con C2C Talks, una serie di incontri e workshop gratuiti che esplorano le intersezioni tra suono, progetto e visione. Un pomeriggio di riflessione collettiva, gratuito e aperto al pubblico, in cui indagare il legame tra suono, architettura e società.
La scelta del Regio non è casuale. Il capolavoro di Carlo Mollino è un’architettura che sembra già contenere un ritmo. Dopo l’incendio del 1936, il progetto della sua ricostruzione fu affidato all’architetto torinese e all’ingegner Marcello Zavelani Rossi, che lo inaugurarono nel 1973.
L’interno, concepito come un grande organismo fluido, traduce in spazio l’idea di movimento: le curve del soffitto e delle balconate guidano lo sguardo come un’onda sonora, mentre il gioco di legno, ottone e velluto crea una continuità sensoriale tra luce e materia. Ogni elemento sembra pensato per dialogare con l’acustica, come se la forma stessa del teatro fosse già una partitura.

La città, in questi giorni, si ascolta da dentro: i materiali assorbono e restituiscono, i corridoi si fanno riverbero, le geometrie respirano con le voci di artisti, curatori e pensatori. L’architettura non è più solo contenitore, ma interlocutore: uno spazio capace di suggerire nuove forme di ascolto e di pensiero.
Tra gli ospiti di punta, il cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone porta la sua visione più poetica, in cui la musica diventa architettura interiore, fatta di pieni e vuoti, di materiali che respirano. Il suo ritorno con Una lunghissima ombra incarna perfettamente quella tensione tra struttura e sensazione che anima il festival. Nelle sue parole, la musica è un artigianato di gesti e materia. Nelle sue composizioni, il legno e gli archi diventano strumenti di struttura più che di ornamento: servono a restituire consistenza al digitale, come se la musica avesse bisogno di materia per restare umana. La sua conversazione con Carlo Antonelli trova così nel Teatro Regio una naturale estensione: il legno del palcoscenico, le corde dell’orchestra, la geometria curvilinea della sala compongono una stessa partitura di armonie e superfici. E forse proprio per questo il suo suono sembra abitare gli spazi più che riempirli, costruendo silenzi, vuoti, distanze.
Al suo fianco, le conversazioni con Titanic (Mabe Fratti e I. La Catolica), con il giornalista Jazz Monroe di Pitchfork e con i partecipanti di Citizenship beyond the State ampliano la riflessione verso temi di identità e appartenenza, mostrando come le pratiche artistiche contemporanee siano anch’esse costruzioni, luoghi da abitare e attraversare. Il risultato è un paesaggio culturale dove la progettualità incontra l’intuizione, e dove il design si fa linguaggio dell’ascolto. Il legame tra suono e costruzione si estende a tutta la città. E durante la Art Week Torino, con la sua bellezza silenziosa, si rivela ancora una volta organismo risonante.

L’edizione 2025 del festival, dal titolo Per Aspera Ad Astra, prosegue la visione del suo fondatore Sergio Ricciardone, scomparso lo scorso marzo. È la sua eredità e insieme una dichiarazione d’intenti: continuare a cercare, trasformare, immaginare, invitando a guardare al suono come forma di progettazione. È una prospettiva che si riflette perfettamente nel Regio di Carlo Mollino, dove la modernità degli interni convive con la facciata barocca e con un’idea di movimento continuo: curve, materiali, luci e superfici che costruiscono un ritmo spaziale.
In questo luogo, il suono non è semplice ospite: è parte della struttura, come se le pareti, il foyer, i velluti e il legno del teatro fossero strumenti pronti a vibrare. In questo intreccio tra musica e architettura, Club to Club rinnova la propria vocazione di piattaforma transdisciplinare: non un semplice festival, ma un laboratorio di ascolto che ridisegna il modo di percepire la città. E il Teatro Regio, con le sue curve e i suoi silenzi, si conferma il luogo ideale per dare forma a ciò che, per sua natura, non ne ha: il suono.
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