Il Teatro Regio di Carlo Mollino e l’arte dell’ascolto

Ogni autunno c’è un momento esatto in cui Torino cambia ritmo. È la settimana della Art Week, quando la città si trasforma in un laboratorio diffuso di arti e linguaggi e accoglie fiere, performance e festival che ne ridefiniscono la percezione. L’attenzione si divide tra Artissima e il festival Club to Club, che da oltre vent’anni è una delle presenze più riconoscibili: un osservatorio che esplora il contemporaneo attraverso la musica avant-pop e il dialogo con altre discipline. Ma al di là dei grandi palcoscenici sonori, è al Teatro Regio che prende forma uno dei dialoghi più affascinanti di questa stagione: quello tra musica e architettura, restituendo a uno dei luoghi più iconici della città la sua doppia natura di spazio scenico e dispositivo culturale.

Il 31 Ottobre il festival torinese apre le porte del suo spazio di riflessione con C2C Talks, una serie di incontri e workshop gratuiti che esplorano le intersezioni tra suono, progetto e visione. Un pomeriggio di riflessione collettiva, gratuito e aperto al pubblico, in cui indagare il legame tra suono, architettura e società.

La scelta del Regio non è casuale. Il capolavoro di Carlo Mollino è un’architettura che sembra già contenere un ritmo. Dopo l’incendio del 1936, il progetto della sua ricostruzione fu affidato all’architetto torinese e all’ingegner Marcello Zavelani Rossi, che lo inaugurarono nel 1973.

L’interno, concepito come un grande organismo fluido, traduce in spazio l’idea di movimento: le curve del soffitto e delle balconate guidano lo sguardo come un’onda sonora, mentre il gioco di legno, ottone e velluto crea una continuità sensoriale tra luce e materia. Ogni elemento sembra pensato per dialogare con l’acustica, come se la forma stessa del teatro fosse già una partitura.

Il Teatro Regio di Carlo Mollino e l’arte dell’ascolto
Foto Stefano Guidi/Getty Images

La città, in questi giorni, si ascolta da dentro: i materiali assorbono e restituiscono, i corridoi si fanno riverbero, le geometrie respirano con le voci di artisti, curatori e pensatori. L’architettura non è più solo contenitore, ma interlocutore: uno spazio capace di suggerire nuove forme di ascolto e di pensiero.

Tra gli ospiti di punta, il cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone porta la sua visione più poetica, in cui la musica diventa architettura interiore, fatta di pieni e vuoti, di materiali che respirano. Il suo ritorno con Una lunghissima ombra incarna perfettamente quella tensione tra struttura e sensazione che anima il festival. Nelle sue parole, la musica è un artigianato di gesti e materia. Nelle sue composizioni, il legno e gli archi diventano strumenti di struttura più che di ornamento: servono a restituire consistenza al digitale, come se la musica avesse bisogno di materia per restare umana. La sua conversazione con Carlo Antonelli trova così nel Teatro Regio una naturale estensione: il legno del palcoscenico, le corde dell’orchestra, la geometria curvilinea della sala compongono una stessa partitura di armonie e superfici. E forse proprio per questo il suo suono sembra abitare gli spazi più che riempirli, costruendo silenzi, vuoti, distanze.

Al suo fianco, le conversazioni con Titanic (Mabe Fratti e I. La Catolica), con il giornalista Jazz Monroe di Pitchfork e con i partecipanti di Citizenship beyond the State ampliano la riflessione verso temi di identità e appartenenza, mostrando come le pratiche artistiche contemporanee siano anch’esse costruzioni, luoghi da abitare e attraversare. Il risultato è un paesaggio culturale dove la progettualità incontra l’intuizione, e dove il design si fa linguaggio dell’ascolto. Il legame tra suono e costruzione si estende a tutta la città. E durante la Art Week Torino, con la sua bellezza silenziosa, si rivela ancora una volta organismo risonante.

Il Teatro Regio di Carlo Mollino e l’arte dell’ascolto
Foto Valerio Pennicino/Getty Images

L’edizione 2025 del festival, dal titolo Per Aspera Ad Astra, prosegue la visione del suo fondatore Sergio Ricciardone, scomparso lo scorso marzo. È la sua eredità e insieme una dichiarazione d’intenti: continuare a cercare, trasformare, immaginare, invitando a guardare al suono come forma di progettazione. È una prospettiva che si riflette perfettamente nel Regio di Carlo Mollino, dove la modernità degli interni convive con la facciata barocca e con un’idea di movimento continuo: curve, materiali, luci e superfici che costruiscono un ritmo spaziale.

In questo luogo, il suono non è semplice ospite: è parte della struttura, come se le pareti, il foyer, i velluti e il legno del teatro fossero strumenti pronti a vibrare. In questo intreccio tra musica e architettura, Club to Club rinnova la propria vocazione di piattaforma transdisciplinare: non un semplice festival, ma un laboratorio di ascolto che ridisegna il modo di percepire la città. E il Teatro Regio, con le sue curve e i suoi silenzi, si conferma il luogo ideale per dare forma a ciò che, per sua natura, non ne ha: il suono.

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