Ossessivo-Inventivo, la mostra curata da JoeVelluto e allestita all’ADI Design Museum di Milano (dal 12 febbraio al 23 marzo 2025), porta in scena dodici progetti-manifesto che raccontano la fase creativa dei designer, nell’accezione più intima e sperimentale.
A partire dal titolo, che suona come un ossimoro ma anche da parafrasi ai disturbi ‘compulsivi-ossessivi’ umani, s’intende che la mostra curata dal duo creativo formato da Sonia Tasca e Andrea Maragno nasce dall’intenzione di indagare uno schema. Forse un po’ tacito, ma frequente. Lo stesso che porta il designer a fare e ripetere, correggere, ripensare un oggetto, contemporaneamente perdendosi e ritrovandosi.
L’ossessione per un tema, quanto per un gesto, diventa così la più potente fonte inventiva e, insieme, di catarsi. Perché, mentre inventa, il creativo insegue una condizione, la smaterializza e ri-materializza, trasformandosi lui stesso insieme alla sua creatura.
L’allestimento degli spazi con il nero a fare da quinta si presta a quella che non è solo una mostra, ma un’indagine interiore, rimandando alla dimensione più intima e privata del designer e del visitatore. Il buio è il non-luogo in cui conviviamo con i nostri conflitti ma che allo stesso tempo ci conduce spesso a una trasformazione.

L’ossessivo diventa così genesi di creatività, ma anche costante tendenza alla ricerca (compulsiva, forse). Capita con temi attualissimi, come può essere la sostenibilità, ma anche con forme, colori, ripetizioni.
Nell’esposizione i dodici prodotti esposti, ognuno concepito dall’inventiva di un noto designer internazionale (Federica Biasi, Sara Bozzini, Odo Fioravanti, From Industrial Design, Ale Giorgini, Davide Groppi, Marialaura Irvine, JoeVelluto, Claudio Larcher, Luca Nichetto, Sovrappensiero, Marco Zito) diventano manifesto: inequivocabile espressione del tema e, insieme, dichiarazione d’intenti nei confronti di un certo tipo di design.
A fare da fil rouge è il metallo, materiale scelto per la sua versatilità e capacità di rendere tangibili concetti astratti.
Abbiamo intervistato Andrea Maragno, co-founder di JoeVelluto, ci ha spiegato come è nata la mostra.
All’origine della mostra c’è una ricerca nata da un’esigenza personale?
Tutto è nato da una conversazione sulla curiosità durante la quale, con Andrea Cancellato, direttore ADI Design Museum, ci siamo resi conto di come essa stessa sia un impulso ossessivo.
Allo stesso modo, al contrario, l’ossessione nutre la curiosità come un impulso intimo che può influenzare il lavoro finale. Occupandomi io di meditazione zen ho subito notato una relazione con i pensieri ricorrenti e il rimuginare, entrambi sempre connotati negativamente ma, come la disciplina m’insegna grazie al suo sguardo progressista, anche custodi di un lavoro positivo.
Lo stesso vale per l’ossessione. Se riusciamo a trasformarla avviene qualcosa di nuovo, esattamente come fa una mente creativa. Ci piaceva soffermarci sulle domande che un designer si fa, il proprio modo di creare, lasciando un brief totalmente libero come l’indagine delle proprie ossessioni. Sono tentativi di dare una risposta che non dev’essere risolutiva e univoca ma semplicemente un’indagine sulla propria persona.
Perché il metallo come unico materiale utilizzabile?
Ci piaceva mettere in contrasto la dimensione interiore, psicologica, delle ossessioni con qualcosa di molto concreto come il metallo. Abbiamo lavorato con Diemmebi – azienda specializzata per i quali ora siamo anche direttori creativi – che si è dimostrata molto appassionata e ossessiva lei stessa, lavorando duramente. Dagli oggetti che si trovano in mostra sono emersi i mondi interiori e personali di ogni designer. È stato un po’ come mettersi a nudo raccontando ciò con cui ci identifichiamo.
Siete dunque giunti alla conclusione che l’ossessione nella creatività è un processo funzionale o disfunzionale?
Funzionale, perché dà sempre e comunque forma a qualcosa di nuovo, inaspettato, che magari non sarebbe mai stato esplorato in altro modo. Nel caso di Davide Groppi si tratta di un gioco tra assenza e presenza legato alla luce, in quello di Odo Fioravanti il progetto racconta il passaggio del fare e rifare in continuazione, alla ricerca di un grado di perfezione assoluta che non esiste se non nella mente del designer.

La parola ‘manifesto’ utilizzata per definire la mostra e i 12 oggetti, è intesa come dichiarazione d’intenti o si riferisce alla loro capacità espressiva?
La parola manifesto ha un duplice significato, principalmente intendiamo che ogni oggetto è la piena manifestazione dell’essere del relativo designer.
È poi, naturalmente, anche una dichiarazione nei confronti di un certo tipo di design, inteso come processo continuo di ricerca e sperimentazione.
In questo senso l’ossessione ha spinto i designer a superare i confini convenzionali, realizzando oggetti non per forza funzionali. È stato bello anche perché ha dato origine a una micro trasformazione del designer stesso e della sua coscienza.

Anche voi avete firmato un progetto in mostra. Quale ossessione racconta?
Ci siamo guardati allo specchio e ci siamo domandati da cosa siamo ossessionati, partendo dal fatto che il nostro duo risponde al nome di una persona che non esiste! (Ride, ndr).
Abbiamo sempre lavorato in gruppo e in un certo senso la nostra ossessione è proprio la collaborazione appoggiandoci alla conoscenza degli altri, proprio per collaborare. Con Diemmebi abbiamo sperimentato un approccio molto manuale: schiacciare e deformare la lamiera ci ha permesso di inventare un modo per farlo. Lo abbiamo fatto tutti insieme.
Possiamo dire che la vostra ossessione sia proprio l’invenzione in sé?
Assolutamente sì! A noi piace proprio questo, non limitarci allo schizzo ma creare e farlo insieme.

Come suggerite di visitarla, a livello di predisposizione mentale-personale?
Con curiosità, anche se sembra banale dirlo. Perché ogni individuo ha un aspetto creativo del tutto personale. Abbiamo incluso nel percorso anche una stanza con intelligenza artificiale in cui ognuno può comunicare la propria ossessione e visualizzare l’oggetto che l’AI plasma a partire da quanto detto. Anche senza essere dei designer, si dà vita così a un oggetto lasciando la mostra con una soddisfazione inaspettata e anche una consapevolezza in questo senso. È un modo per vedere le cose da un altro punto di vista, anche positivo nonostante l’ossessione.
L’articolo JoeVelluto e la mostra all’ADI: «L’ossessione nutre la curiosità» sembra essere il primo su Living.