Kengo Kuma: «Le vie, i viali, i corsi non possono più essere governati dalle automobili»

70 anni, anti-divo, un passato (segreto) da giocatore di basket, riconosciuto come uno dei maestri dell’architettura contestuale, Kengo Kuma sta disseminando il mondo di progetti che respirano, classificati, sul sito, per località, destinazione d’uso, avanzamento dei lavori, addirittura dimensioni: dai 1.200 metri quadri del Qatar Pavilion per l’Expo di Osaka 2025, al museo Audeum di Seoul, dedicato al suono e concepito come uno strumento musicale, fino allo stadio dei Giochi Olimpici di Tokyo, un gigante da 60.000 posti rivestito da piccoli pezzi di legno, il suo materiale preferito.

Agenda pienissima – ha cantieri aperti in oltre 50 paesi –, e una visione critica sul futuro della sua professione. «Le città si sono trasformate in giungle di cemento e asfalto che non costituiscono un habitat ideale per gli esseri umani».

Intervista a Kengo Kuma

Un altro skyline è possibile Mr Kuma? Che alternative propone?

«Riportare gli alberi nelle città. L’Homo sapiens originariamente viveva nella foresta, con gli alberi come amici. Bisogna fare in modo che i nostri ‘amici’ siano reinseriti nei contesti urbani. Gli alberi non vengono piantati semplicemente perché la natura è importante, né per scopi puramente estetici. Sono casa nostra. Dovremmo anche ricordare che la vegetazione salva le persone dallo stress mentale e le guarisce».

È vero che considera il cemento il più grande fallimento del XX secolo? Materiali su cui puntare?

«Le città del XX secolo erano ricoperte di cemento perché l’epoca richiedeva una produzione in serie di edifici in tempi brevi. Oggi, sia la popolazione sia l’economia si stanno riducendo. Non c’è più bisogno di creare un gran numero di nuovi palazzi, quando ne abbiamo già troppi. Dobbiamo riconoscere che stiamo vivendo nell’era della crescita lenta. Il mio suggerimento è di utilizzare materiali in grado di rendere felici gli esseri umani. Il legno è sicuramente un’alternativa al cemento ed è stato dimostrato che l’uso del legno e dei buoni cicli forestali può contribuire a fermare il riscaldamento globale. Oltre al legno, il nostro ufficio continua a cercare materiali morbidi, come i tessuti e la carta Washi che hanno la capacità di trasformare e ammorbidire i suoni e la luce».

Cosa disegnerebbe, come prima cosa, per le città del futuro?

«Le strade. Anche in questo caso, serve un aggiornamento. Le vie, i viali, i corsi non possono più essere governati dalle automobili. Primo perché gli uomini, e non i veicoli, sono i protagonisti delle città, secondo perché considero le auto dei prodotti del passato. Vorrei proporre strade in cui gli individui siano al centro dell’attenzione e in cui camminare sia un’attività piacevole. Penso a materiali con texture gentili per i pedoni e palazzi che costeggino entrambi i lati della carreggiata per essere facilmente accessibili».

Che caratteristiche ha un’architettura ben progettata?

«Deve essere interpretata come un ‘nido’, e non come un oggetto. È fondamentale che le persone si sentano sicure, a loro agio, proprio come gli uccelli che riposano nei nidi. La cosa più importante è che l’edificio sia un luogo confortevole per noi, prima di essere bello nella forma o all’avanguardia in termini di funzione».

L’abitazione multitasking quindi non è il suo modello di riferimento? In che tipo di casa vive?

«Fortunatamente, vivo in una casa con una grande terrazza e molto verde. Ci passeggio e approfondisco i miei pensieri. Allo stesso tempo mi rilasso. Abbiamo bisogno di più spazio all’aperto o semi-all’aperto. Luoghi in cui si possa vivere senza essere controllati dall’aria condizionata».

La lounge del museo Audeum di Seoul, foto Taiki Fukao

Le stanze del futuro come se le immagina?

Dovrebbero essere pensate in modo che le persone possano conversare e allo stesso tempo godersi la natura. Le sale da tè nell’architettura giapponese sono un buon esempio. Pur essendo studiate per far incontrare gli ospiti, vi si trovano opere d’arte e fiori, anche se non sono molto spaziose.

A Venezia, per la mostra Murano Illumina il Mondo (fino al 4 marzo), ha realizzato un lampadario ‘parcellizzato’ formato da moduli a incastro. La flessibilità sarà una parola chiave per il design?

Sì. La mia architettura permette a ogni individuo di progettare il proprio ambiente di vita come desidera. Questo è ciò che chiamo design flessibile.

Lei collabora spesso con gli artigiani. Intelligenza artigianale vs intelligenza artificiale, come andrà a finire?

L’intelligenza artificiale è uno strumento presente in ogni processo della progettazione. Non ho commenti particolari da fare al riguardo. Lavorare con gli artigiani è un’esperienza completamente diversa. Semplicemente non possiamo costruire senza di loro.

L’ufficio sostenibile che sta costruendo a Milano, in zona Crescenzago, con grandi terrazze, luce naturale e un sistema botanico di purificazione dell’aria, diventerà il nuovo ‘grattacielo’?

All’inizio del XX secolo, gli spazi di lavoro dovevano essere confinati in ambienti chiusi, poiché – senza cellulari o pc – gli impiegati avevano la necessità di condividere il telefono fisso. Ecco perché gli uffici sono diventati come fabbriche. Ora serve focalizzarsi di più sull’uomo, come è stato dimostrato durante la pandemia. Dobbiamo offrire un luogo di lavoro privo di stress, piacevole, con molte piante, ma non è detto che si debba necessariamente stare tutti assieme in pochi metri quadri. Questo è un passaggio chiave. Qualcuno potrebbe anche voler lavorare in una foresta.

Sa che Milano è una delle città più inquinate al mondo. Ci dà qualche consiglio?

Ho notato il traffico intenso e l’inquinamento atmosferico, il fascino della città, però, la sua storia e la sua cultura superano questi problemi. Sarebbe bello se si sfruttassero gli elementi naturali che già ci sono, i tratti dei navigli per esempio. Milano ne potrebbe uscire rafforzata, come esempio a cui guardare per il futuro.

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