Una casa incastonata tra cielo e golfo di Napoli
A Napoli, sul piccolo balcone – nominato con dolce ironia ‘il palchetto’ – che si affaccia dal palazzo seicentesco in via Posillipo come una gargoyle isolata sulla baia dei Due Frati, il mare entra in scena nella casa di Sergio Colantuoni a ogni ora del giorno, tra gli applausi delle onde. E anche dei padroni di casa.

Raffinato giornalista, designer d’interni e di moda, ‘creativo ad ampio spettro’ (come lo definisce il musicista Maurizio Marsico) o ‘lifestyler’ (com’è scritto sul suo biglietto da visita), ‘inventore di spazi dove far star bene la gente’ (come dice lui medesimo), Colantuoni ha voluto un’abitazione partenopea che si svolge come un teatrino barocco a pianta rettangolare, un palcoscenico lungo e stretto che nasconde anche segrete e camerette, ma dove la vera protagonista è la sorpresa di chi entra e pensa che se Luigi XIV fosse nato qui e avesse studiato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, sarebbe stata questa la sua piccola reggia estiva.

«Quando, dopo lunghe ricerche, ho trovato questa ‘baracca felice’, ho scoperto che la proprietà apparteneva alla grande pianista Kiki Bernasconi, con cui ormai siamo diventati amicissimi e addirittura, benché abbia figli, ci chiama ‘i suoi eredi’, tanto da averci venduto anche l’accesso alla sua spiaggia privata».
Arrivarci è una piccola performance, un atto di fede, perché è una casa che si lascia raggiungere solo da chi ha una buona disposizione d’animo e resistenza al senso di chiusura. Niente portoni, niente targhe. Vi si arriva soltanto dalla discesa dei Due Frati o proprio da via Posillipo, dove ci si cala negli inferi domestici di un tunnel costruito negli anni Ottanta, lungo, oscuro e vagamente catacombale che arriva direttamente a mare «e ogni volta ti sembra di rinascere»: un’apparizione sorrentiniana.

Lungo il percorso sotterraneo, due ascensori. Piccoli. Angusti. Talvolta capricciosi, «tanto da aver ispirato incubi a un operaio claustrofobico che non voleva salirci». Eppure, una volta giunti al quinto piano, si spalanca davanti agli occhi questo scrigno luminoso (in cui le opere di ingegneria sono state seguite da Cesare San Felice) incastonato tra il cielo e il golfo che brilla anche di notte: come se il cielo, Capri, Ischia, Sorrento e il Vesuvio che lo circondano avessero deciso di offrire un’illuminazione ad hoc.

«Di sera, io e mio marito Giuseppe Triggiano ci stendiamo sul divano Zanotta degli anni Ottanta messo al centro della sala alla stregua di un letto a barca stile Direttorio e guardiamo il mare: è sempre una prima visione».

I tendaggi e i tessuti d’arredo sono di Kohro
Ogni stanza ha il tono di un piccolo spettacolo: ci sono oggetti di epoche diverse, accostati con la leggerezza sapiente di chi sa che l’eleganza non è nel coordinare, ma nel contrastare armoniosamente.
Il senso estetico è sfarzoso, ma senza enfasi. Ricorda il ricco Seicento napoletano, ma filtrato da uno che conosce bene il design milanese e ha letto almeno tre volte Elsa Morante, perché qui la cultura si mescola con la sapienza del flâneur – che non ha fretta ma buon gusto – e l’umorismo è quello delle zie devote che mentre pregano, giudicano spietatamente il tuo outfit.

Tutto è studiato, niente è rigido: specchi che creano illusioni spaziali, le ceramiche raku realizzate dai proprietari flirtano con una consolle che arriva dallo sgombero degli arredi della Scala di Milano pre-restauro, busti e stampe di San Gennaro civettano con gipsoteche allestite nelle piccole sale da bagno, un trofeo di ceramica – firmato dagli artisti Renzi e Reale – imita le porcellane rococò di Capodimonte, mentre il tavolo da pranzo danese Mygge del 1960 di Poul Cadovius e Bjorn Wiinblad per Cado si sposa alle sedute di famiglia.
E poi una giostra di dettagli tra malinconia e divertimento: in camera da letto, Colantuoni ha personalmente ricamato un gigantesco ‘Hug!’ sulla testiera imbottita.

«Tranne qualche pezzo vintage, ho disegnato tutto su misura, i lavori di falegnameria sono stati realizzati da Luigi De Rosa, a partire dalla cucina, dove come maniglie per i pensili ho sistemato parte di un’opera di Gustaf Von Arbin. Alle pareti, la decorazione a righe Impero è in realtà un trompe l’oeil dipinto a mano da Salvatore Onesto per dare un aspetto più ‘umano’ alle maestose cornici di gesso realizzate da Feliciano Cipolletta: ho voluto usare esclusivamente maestranze locali, tra le migliori del mondo. Mi rendono particolarmente fiero i pavimenti, da me concepiti come tappeti da palazzo regale, ma in realtà fatti in resina da Patrizio Massa a coordinare il team di Resinfloor Group».
Non c’è nessun vicino, nessuna voce, nessun’eco stonata di auto o motorini, «perché il vero lusso qui è poter vivere come se ogni giorno fosse una prima: c’è solo il mare che entra senza bussare. È una casa che ti guarda anche quando dormi ma rispetta il tuo riposo».
Perché, diciamolo, a Napoli anche il silenzio ha l’accento giusto.

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