Li avevamo incontrati a Wiesen qualche anno fa, reduci dalla ristrutturazione della casa di campagna nella Bassa Franconia. Un vecchio fienile pieno di opere d’arte – teatro della loro festa di nozze pensata come una performance – non lontano dal castello dove ha sede la Kunstverein, una piattaforma dedicata a giovani artisti contemporanei istituita da Johanna e Friedrich Gräfling, curatori e collezionisti appassionati.
Oltre alla piattaforma, negli ultimi vent’anni i due hanno fondato un hub sperimentale ad Aschaffenburg in Baviera, e il Salon Kennedy a Francoforte: un appartamento-galleria dove organizzano cene, mostre e incontri.
La loro nuova residenza si trova sullo stesso pianerottolo ed è una sorta di prolungamento del Salon. «Qui ha abitato la stessa famiglia per più di cento anni, fino al 2010. L’energia è speciale, fuoriesce dagli stucchi, dalle boiserie, dal parquet scricchiolante a lisca di pesce», racconta Friedrich, che insieme a Johanna gestisce anche uno studio di architettura e design. Dopo tanto girovagare, la coppia ha fissato il suo centro nevralgico in questo grande appartamento, teatro di sperimentazioni che vanno dalle palette cromatiche alla straordinaria selezione di opere e arredi. «Ciò che conta per noi è far emergere l’anima di un posto con un approccio interdisciplinare che ci permette di mescolare precisione analitica e cuore. Nascono così spazi che non ti aspetti, accostamenti ad un primo sguardo improbabili, come le tende arancione e i muri pervinca», continua Friedrich.
Abituati a circondarsi di cose bellissime, i due acquistano in giro per il mondo tutto ciò che colpisce la loro immaginazione: «È una specie di caccia al tesoro che non finisce mai. Siamo soliti stipare i nostri magazzini di opere, mobili, oggetti. Attingiamo da lì ogni volta che la necessità di farli respirare si fa sentire».

Friedrich ricorda di quando gli sono capitati tra le mani il daybed e il divano realizzati su misura da Matteo Thun per un collezionista tedesco che negli Anni ’80 gli aveva chiesto di progettare un’intera stanza: «C’erano anche mensole, tavolini, armadi, tutti custom made e ora introvabili… Purtroppo solo questi due elementi, probabilmente i più intriganti, sono arrivati fino a noi».
Per un collezionista come lui, che è anche architetto, il design d’autore resta un punto fondamentale: «Guardate la bellezza di quel cabinet di Carlo Scarpa, riempie la stanza, si apre e si chiude a piacimento, addossato alla parete latte e menta gli serve solo l’energia delle opere d’arte giuste. Noi abbiamo scelto Wolfgang Tillmans, Laure Prouvost e Alicja Kwade», dice, e tra una chiacchiera e l’altra suggerisce di tenere d’occhio alcuni emergenti come il polacco Paul Czerlitzki, la statunitense Grace Weaver e Sung Tieu, vietnamita.
L’interior dunque, risulta un mix molto ben calibrato dove l’arte fa da controcanto al design, in una danza di cui i Gräfling amano modulare il ritmo, a seconda del momento: ora nel living ci sono il daybed di Matteo Thun e il cabinet di Ettore Sottsass – la coppia ama moltissimo il periodo Memphis – e a parete, una potente fotografia di Thomas Ruff.

Last but not least c’è la questione del colore, dosato con spregiudicata maestria. Basta guardare l’effetto prodotto in sala da pranzo dall’abbinamento tra il tavolo di Moritz Bannach, le pareti azzurre e la boiserie rosa confetto: «Il baby blue potrebbe sembrare di cattivo gusto così come i soffitti lilla o la boiserie pistacchio del corridoio. La linea di confine è molto sottile, è un po’ come dire cioccolato al latte o al sale… È tutta una questione di palato», scherza Friedrich.
Di certo la coppia sa come non tradire l’eleganza, e la carambola di palette che si susseguono risulta sempre vivace ma armonica. «Odiamo l’effetto catalogo, non ci interessa. Per noi è importante che di ogni stanza emerga l’anima».
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