La poesia degli oggetti quotidiani nel nuovo film di Jim Jarmusch, Leone d’oro a Venezia

Il trailer del film di Jim Jarmusch premiato a Venezia

C’è un momento, nel primo dei tre episodi di Father Mother Sister Brother, il film di Jim Jarmusch che ha vinto il Leone d’oro all’82ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia che racconta, forse, il motivo della sua inaspettata vittoria.

In New Jersey, in una casa immersa nella neve, un anziano padre un bravissimo Tom Waits – riceve la visita dei due figli – Adam Driver e Maiym Bialik – che non lo vedono da anni. Entrambi, portando come dono una scatola piena di meravigliose leccornie, dalla pasta italiana alla senape francese, a un certo punto, rimangono stupiti da una sedia a dondolo che si affaccia su una finestra sul lago.

La poesia degli oggetti quotidiani nel nuovo film di Jim Jarmusch, Leone d'oro a Venezia

Non è una vecchia sedia cigolante che si addice, soprattutto come immaginario, a un uomo avanti con gli anni, ma un pezzo dal design contemporaneo. Ma non è solo questione di forma e progettazione: la sedia, come tanti altri elementi del film, è importante per quello che rappresenta. Un punto di vista privilegiato, nella solitudine di un uomo che non è quello che sembra, in cui potersi permettere il lusso di star fermi a guardare. La poesia del quotidiano, la forza del simbolo: la sedia rappresenta un atto lirico e diventa un messaggio simbolico. Jarmusch, il regista della non azione, attraverso la sedia fa una contronarrazione estetica basata sull’emozione ma, anche, sull’ironia.

Così come il vaso pieno di fiori del secondo episodio, Mother, che racconta un’altra famiglia infelice a modo suo, questa volta a Dublino. Charlotte Rapling che interpreta una famosa scrittrice incontra una volta l’anno le sue due figlie Cate Blanchett e Vicky Krieps universi paralleli e opposti destinati a non incontrarsi mai se non nel vialetto della madre un giorno su 365.

La poesia degli oggetti quotidiani nel nuovo film di Jim Jarmusch, Leone d'oro a Venezia

Mentre la piccola triade si siede per il tè, in una villetta ben curata fuori dal centro, un vaso con un mazzo di fiori bellissimi appena consegnati da una delle due figlie intralcia la visuale. È un pretesto, una salvezza che impedisce loro di parlarsi e le solleva dall’imbarazzo di raccontarsi, di conoscersi o, forse, di ammettere di non conoscersi affatto. Il vaso è un oggetto, ma si fa monumento nello spazio fra le protagoniste.

È vuota, infine, l’ultima casa della trilogia filmica di Jarmusch. Due gemelli, Indya Moore e Luka Sabbat, si aggirano in un arrondissement del centro di Parigi. Si fermano a bere un caffè, cercano parcheggio. Entrano poi nell’appartamento, una bellissima dimora parigina dal parquet a lisca di pesce e dal vecchio camino novecentesco, per cercare nel vuoto di quello spazio la presenza e la memoria dei genitori scomparsi in un incidente aereo. Ridono e piangono insieme, in una telepatia di sangue; guardano fotografie e si passano oggetti come fossero reliquie. Sentono l’una il dolore dell’altro, auscultano quello che la casa ha ancora da dire.

La poesia degli oggetti quotidiani nel nuovo film di Jim Jarmusch, Leone d'oro a Venezia

«L’arte non deve necessariamente parlare di politica per essere politica. L’empatia è il primo modo per sistemare problemi che stiamo affrontando» ha detto il regista di Coffee & Cigarettes e Paterson una volta salito sul palco in giacca, occhiali neri e la spilla ‘Enough’ contro il genocidio.

Al centro del film, prodotto da Cinema Inutile, CG Cinéma, Cofiloisirs, Animal Kingdom e distribuito in Italia da Lucky Red, c’è l’essere umano con le sue debolezze e gli imbarazzi, i non detti e i silenzi, l’amore e anche la noia.

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