Le case di carta di Do Ho Suh in mostra a Londra

Foto Jeon Taeg Su

Quante volte, muovendoci per casa, tocchiamo un interruttore della luce, la maniglia di una porta, o un rubinetto dell’acqua, senza prestarvi attenzione? Quei gesti automatici, quel contatto fisico con forme note alla memoria delle nostre dita, reiterato inconsapevolmente. Sappiamo dove trovarli, le nostre mani vi arrivano senza pensarci. E che cosa rimane di ciò, quando cambiamo casa? Per fissare nella mente quei profili tanto familiari quanto trascurati, l’artista Do Ho Suh li ricalca con la carta, li misura, li ricrea con il tulle, secondo antiche tecniche di ricamo coreane. Arriva a ricostruire porte, pareti, interi corridoi e appartamenti in installazioni oniriche, poetiche e commoventi, che attualmente sono in mostra alla Tate Modern di Londra, in una grande retrospettiva che copre 30 anni di attività (fino al 19 ottobre).

L’interesse dell’artista deriva dalla sua storia personale di migrazione da Seoul a New York, a Londra. Nato in Corea nel 1962, Doh Ho Suh è cresciuto in una casa hanok, la tradizionale abitazione coreana, pensata per poter essere smontata e rimontata altrove. Da qui il concetto di walk the house, far camminare la casa, che l’artista ha sentito da bambino e che ha tradotto nelle sue opere, per mostrare come l’idea degli spazi che abbiamo vissuto e che portiamo dentro di noi nel tempo possano influenzare la nostra identità.

Dopo essere emigrato negli Stati Uniti a 29 anni per proseguire gli studi d’arte alla Rhode Island School of Design, Doh Ho Suh è tornato alla casa della sua infanzia a Seoul e l’ha ricalcata, in un atto di amore e dedizione. Anche quando ha lasciato la casa in cui ha vissuto per 20 anni a New York, l’artista ne ha ricalcato le sagome e gli oggetti; il suo padrone di casa e amico, che aveva vissuto al piano di sopra, era stato affetto da demenza, e la paura di perdere la memoria lo aveva tormentato.

Do Ho Suh
Do Ho Suh, ritratto di Gautier Deblonde, 2024

La relazione tra architettura, corpo e memoria attraversa tutte le sue opere, ma non è un lavoro solamente intimista. Lo sguardo di Doh Ho Suh si estende anche alla comunità e agli effetti delle politiche urbanistiche sulle persone.

In una città come Seoul, in cui tanto patrimonio è stato distrutto per fare spazio ai grattacieli e alle nuove costruzioni, l’attenzione dell’artista si posa sui dettagli architettonici prima della demolizione, in quegli ambienti in cui si sono svolte le vite delle persone. Ma anche a Londra, dove l’artista vive dal 2010, ha documentato lo smantellamento del complesso residenziale brutalista di Robin Hood Gardens, minacciato per più di dieci anni e infine abbattuto, in diverse fasi, a partire dal 2017 fino al 2024.

Do Ho Suh Tate Modern
Foto Jai Monaghan

Ad ogni modo, quello di Doh Ho Suh non è un atteggiamento meramente nostalgico. La sua idea di casa in movimento fa sì che essa vada a plasmare la nostra identità, abbattendo le barriere di spazio e tempo, come nell’opera Home Within Home, un edificio impossibile in stampa 3d che fonde le case dove ha abitato a Seoul e New York.

La sua visione tocca spicchi speculativi nella progettazione di un ponte ideale che connette Seoul, New York e Londra, per arrivare a trovare il punto equidistante dove costruire la “casa perfetta”. Trovandosi, però, questo nel Mar Glaciale Artico, in territori contesi tra Norvegia, Canada, Russia, Canada, Danimarca e Stati Uniti, l’artista evidenzia questioni relative alle rivendicazioni politiche sui territori, all’impatto ecologico dell’ambiente costruito, al vero significato del concetto di casa perfetta, che forse è un’idea contraddittoria.

Il limite umano emerge anche dai materiali che usa per ricalcare e ricreare gli ambienti, poiché con essi è impossibile ricreare i dettagli e copie esatte del reale. Lo scopo è più che altro evocare l’esperienza dello spazio, i rituali inconsci che creano quel senso di familiarità.

Do Ho Suh Tate Modern
Foto Jai Monaghan
Living ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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