Maurizio Cattelan colpisce ancora. Come sono le opere in mostra a Bergamo

Le cronache locali raccontano di telefonate allarmate al 112: ‘Pronto? C’è un bambino sulla statua del Garibaldi!’ Provocatore per natura, Maurizio Cattelan ha agito nottetempo, questa volta a Bergamo: il 6 giugno la città si è svegliata con un bimbo a cavallo del Patriota che dai primi del 900 domina la Rotonda dei Mille, cuore della città. Si tratta di One, una delle cinque opere della mostra diffusa al via proprio il 6 giugno e dislocata tra la GAMeC, l’ex oratorio di Sal Lupo e Palazzo della Ragione, in Città Alta.

Ma andiamo con ordine e partiamo da One, l’installazione assolutamente inedita che ha lasciato a bocca aperta tutti i bergamaschi: sulle spalle di Garibaldi Cattelan posiziona un bambino che, con le dita della mano destra, mima una pistola: un gesto ambiguo che oscilla tra il gioco infantile e un accenno di affermazione, resistenza o potenziale ribellione, ma che può anche essere letto anche come un tentativo di interrogare le responsabilità delle nuove generazioni di fronte alla memoria e alle contraddizioni della storia.

Come sempre, Cattelan lascia dubbi e domande: Chi è questo “Uno” evocato dal titolo? Un nipote che gioca sulle spalle del nonno? Un piccolo vandalo? Un ribelle? Ci si riferisce all’individualità del singolo o a una forza collettiva unitaria, come i Mille guidati da Garibaldi? È dunque un nuovo simbolo di unità? O una nuova generazione che si fa gioco di vecchi valori? In equilibrio tra leggerezza e tensione, One apre a una doppia prospettiva: pubblica e personale. Da un lato, è un intervento che stimola un confronto con il passato nazionale; dall’altro, racconta la relazione tra generazioni.

La mostra Seasons (fino al 26 ottobre) si sviluppa come un percorso visivo che stimola una riflessione sulla ciclicità della vita e della storia, sulle generazioni, sull’ascesa e sulla caduta dei valori e sulle trasformazioni dell’individuo e della società: ed eccoci all’ex oratorio di San Lupo ad ammirare Bones (2025), un’aquila di marmo nella sua forma più pura e vulnerabile: il suo corpo giace a terra con le ali spiegate, come un’icona di sconfitta, un emblema di potenza, sovranità e autorità, evocando la crisi dei valori imperiali e la rottura di un legame con i ritmi della natura.

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L’ispirazione nasce dalla visione dell’aquila commissionata nel 1939 dalla Dalmine – al tempo acciaieria di Stato – allo scultore Giannino Castiglioni per la decorazione del ceppo commemorativo del discorso tenuto da Benito Mussolini nel 1919 agli operai dell’azienda in ‘sciopero creativo’, evento che avrebbe dato origine alla costituzione dei Fasci di combattimento. Dopo la guerra l’aquila fu trasferita nel giardino della colonia estiva dell’azienda a Castione della Presolana, in Val Seriana, ai piedi della montagna più iconica delle Orobie.

Perso il riferimento al regime, nel nuovo contesto l’aquila si era trovata a rappresentare i più alti valori della natura selvaggia e della libertà. Con la chiusura della Colonia l’aquila è tornata nei depositi della Dalmine SpA. La scelta del luogo espositivo non è neutra: un tempo sede cimiteriale, l’Oratorio di San Lupo è infatti da secoli uno spazio di liminalità fra vita e morte, fra pubblico e segreto, fra devozione e oblio. Il titolo dell’opera, Bones, (ossa) amplifica la tensione tra apparenza e significato: le ossa rimandano alla morte, alla decomposizione, ma sono anche ciò che dà struttura, sostegno. In questo senso, l’aquila non è solo abbattuta: è anche smascherata. È ridotta alla sua verità ultima, liberata dal peso delle ideologie.

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E poi su, a Palazzo della Ragione (sede estiva della GAMeC nel cuore di Bergamo Alta), nella Sala delle Capriate il colpo al cuore: November (2023), una scultura che stimola una riflessione sul nostro rapporto con la marginalità, la giustizia, la decadenza, ma anche sul senso di libertà che, talvolta, i più deboli e vulnerabili possono incarnare.

Realizzata nel 2023 in marmo statuario Michelangelo, la scultura raffigura un senzatetto sdraiato su una panchina, con i pantaloni slacciati, in un momento di estrema vulnerabilità. L’uomo si sta urinando addosso, come testimonia la presenza di acqua sul pavimento, un dettaglio che non solo amplifica la dimensione di realismo della scultura, ma accentua anche la sensazione di disagio, di distanza dalle norme socialmente condivise, di estraneità.

L’urina diventa allora la traccia di un’esistenza, di un corpo che continua a vivere seppure, almeno apparentemente, nella sua dimensione più fisica, insinuando l’idea che il gesto compiuto dall’uomo possa potenzialmente costituire un atto di affermazione di sé. Il volto dell’homeless è quello di Lucio, amico e storico collaboratore di Maurizio Cattelan; un omaggio che introduce nell’opera una dimensione intima, mettendo in luce il legame tra l’artista e il suo soggetto, ma anche il tema universale della marginalità sociale.

La scelta di collocare l’opera all’interno del Palazzo della Ragione di Bergamo è significativa: la grande Sala delle Capriate, che in passato ospitava le assemblee cittadine medievali per poi divenire in seguito un tribunale sotto la Repubblica di Venezia, porta con sé il peso della giustizia, ma anche della sua assenza, della discriminazione e dell’ingiustizia.

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Ed infine, presso la sede della GAMEeC in via San Tomaso 53 ci sono NO ed Empire. No, è la rielaborazione dell’iconica scultura Him (2001), in cui Maurizio Cattelan rappresentava Adolf Hitler inginocchiato in preghiera, con il volto rivolto verso l’alto in un gesto ambiguo, tra supplica e finzione. La figura, modellata con fattezze infantili, evoca a prima vista l’immagine innocente di un bambino, generando un cortocircuito visivo ed emotivo nel momento in cui lo spettatore riconosce l’identità del soggetto. Qui il volto è coperto: una scelta – scaturita da una richiesta di censura in occasione di una mostra in Cina – ambigua: è al tempo stesso una forma di punizione e di protezione. Protezione dello spettatore dal trauma, ma anche del soggetto dal giudizio. L’occultamento diviene il fulcro dell’opera: il sacchetto non è solo un atto di censura, ma un dispositivo che sposta il focus su ciò che non si mostra, che diventa più inquietante di ciò che si vede.

A chiudere, Empire (2025): un mattone di terracotta su cui è incisa la parola “EMPIRE” –  che richiama immediatamente l’idea di potere, dominio e costruzione di strutture – intrappolato in una bottiglia di vetro, a suggerire un potenziale atto di ribellione che non riesce a prendere forma, un desiderio di rottura che non si compie, una rivoluzione senza esito. L’accostamento tra la solidità del mattone – simbolo di forza e potere – e la fragilità del vetro – simbolo di trasparenza ma anche di contenimento – genera un contrasto profondo. L’impero evocato è uno spazio mentale o politico che non si realizza, una costruzione che resta sogno o minaccia mai concretizzata. La scultura gioca anche su un altro livello interpretativo: quello del messaggio nella bottiglia, di un segnale lanciato verso un futuro incerto. Organizzata da GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Seasons fa parte del quarto ciclo della Il Biennale delle Orobie – Pensare come una montagna, un programma che coinvolge le comunità del territorio grazie alla partecipazione di artiste e artisti internazionali.

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Dove: Palazzo della Ragione, in Piazza Vecchia, accoglie November (2023); alla GAMeC, in via San Tomaso 53, sono esposte Empire (2025), e No (2021); la scultura Bones (2025) è allestita nel vicino Ex Oratorio di San Lupo al civico 7 di via San Tomaso, mentre One (2025) – installazione site-specific prodotta in collaborazione con il Comune di Bergamo – si erge nella storica Rotonda dei Mille, nel cuore di Bergamo Bassa.

 

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