In passato al piano terra c’era un negozio di abbigliamento e prima ancora la bottega di un macellaio. La vetrina su strada c’è ancora. Michael Anastassiades si diverte a esporci le sue cose, più che altro lampade e specchi, ma anche oggetti disegnati da amici e opere d’arte che gli piacciono. Se un passante incuriosito chiede di entrare a dare un’occhiata risponde gentilmente che è una casa privata.
Studio e showroom li ha trasferiti a Camden anni fa. Ha tenuto la vetrina, ma non c’è alcun negozio. Waterloo non era una scelta scontata. «Quando ho comprato casa non era considerata appetibile. È una zona centrale, vicinissima al Big Ben, ma era piuttosto malandata», spiega. Da allora sono passati più di venticinque anni: «Il quartiere è cambiato, ovviamente c’era da aspettarselo. Per fortuna non si è snaturato troppo». Con la stazione a due passi, i treni continuano a farsi sentire. Ci si abitua a tutto.
Lui, fin da subito, ha saputo cogliere il lato positivo: «L’Eurostar i primi tempi partiva da Waterloo. Uscivo di casa e in dieci minuti ero su un treno per Parigi. Lo trovavo fantastico».
Comprare casa è sposare un ideale di vita. «Per me ha coinciso con la decisione di restare a Londra», conferma Anastassiades. «La grande città mi ha sempre attirato. Sono cresciuto a Cipro, in una casa vicino a Nicosia che mio padre fece costruire a distanza quando vivevamo in Africa, in Burundi. Intorno vedevi solo capre e barche. È stata un’esperienza interessante, ma per quanto la ami non sarei potuto rimanere a Cipro. Mi sentivo tagliato fuori dal mondo e in ogni caso, per studiare, dovevo andare via».
Quando si è stabilito qui non aveva ancora idea di cosa avrebbe fatto nella vita. «Quello che ho sempre saputo, dal giorno uno, è che non avevo scelto la strada più facile». Dopo gli studi in ingegneria e il diploma al Royal College of Art non se l’era sentita di cercare lavoro in uno studio. Per mantenersi insegnava yoga, che pratica ancora. Il suo forte erano i progetti sperimentali, fuori dalle logiche di mercato. Oggetti come la Anti-Social Light, una luce che si accende quando nella stanza cala il silenzio.

La casa è stata un punto di svolta, in un certo senso l’ha riportato con i piedi per terra. «Mi ha dato una scusa per cominciare a disegnare i primi prodotti, cose di cui avevo effettivamente bisogno. Prima non riuscivo a trovare una vera ragione per farlo», ricorda. Da un problema pratico è nato il lampadario Tube, il suo primo pezzo commerciale. Non riuscendo a trovare la luce giusta per il suo spazio ne ha costruita una.
Da lì in poi, per anni, ha disegnato soprattutto lampade. Le produceva in proprio, in edizione limitata, e continua a farlo anche adesso che collabora con un marchio dell’illuminazione come Flos.
«All’inizio l’autoproduzione era una scelta obbligata. Con le aziende non avevo alcuna possibilità. Perché avrebbero dovuto chiamare me, se non avevo un portfolio? A posteriori posso dire che è stato un bene. Mi ha permesso di portare avanti la mia visione. Ho realizzato che l’unico modo per restare fedele all’idea originale è avere il pieno controllo sul processo produttivo».
In breve tempo è diventato una firma. E senza volerlo ha lanciato una moda. Le sue lampade ‘filosofiche’, tanto ragionate quanto essenziali, sono state molto imitate, senza per questo perdere la loro aura.
Da un po’ ha iniziato a firmare anche tavoli, sedie, librerie, complementi d’arredo. Ha collaborato con marchi di prim’ordine, da Molteni&C a Cassina, Tacchini, Roda, Mutina e molti altri. Al Salone di aprile ha presentato anche un’urna cineraria, un progetto speciale di Alberto Alessi. Enigmatica e sacrale, come ci si aspettava da lui, con una superficie a specchio che ricorda una scultura di Anish Kapoor.

Anastassiades ha detto più volte di non sentirsi un minimalista. La sua è più una riflessione sulla ragion d’essere degli oggetti e sulla loro opportunità. A Londra per anni ha vissuto senza niente, o quasi. E anche adesso che ha finito di arredarla, la casa resta orientata alla sobrietà.
«Non amo avere troppe cose intorno. Mi distraggono. Ci sono tanti pezzi bellissimi che mi piacerebbe avere, ma non voglio trasformare questo posto in un magazzino di tutto quello che amo. Ogni oggetto ha bisogno del giusto spazio e trovare la perfetta alchimia è un processo lungo, a volte sofferto». Ironizza sempre sul fatto che solo per scegliere un divano ci ha impiegato una vita. «Se un amico mi chiede di aiutarlo a progettare casa metto subito le mani avanti. Non sono la persona adatta. Sì, è vero, ho fatto la mia, ma ci ho messo venticinque anni. E ancora mi chiedo se è finita».
L’articolo Michael Anastassiades apre le porte della sua casa a Londra, il luogo da cui tutto è iniziato sembra essere il primo su Living.