Next Design Perspectives 2025: il design della longevità

Matteo Lunelli, Presidente di Altagamma

La quinta edizione di Next Design Perspectives, organizzata da Altagamma e curata da Marco Sammicheli per Triennale Milano, ha portato al centro del dibattito il tema più urgente (e umano) della contemporaneità: la longevità. Non solo come durata biologica, ma come valore culturale, metodo di progetto e responsabilità collettiva. Davanti a un pubblico internazionale di designer, imprenditori e creativi, l’evento – aperto dai saluti di Matteo Lunelli, presidente di Altagamma e Stefano Boeri, presidente di Triennale Milano – ha riaffermato il ruolo del design come disciplina capace di leggere i cambiamenti del mondo e trasformarli in nuove visioni. «Il design è oggi una forma di cura – ha ricordato Sammicheli – che si esercita verso le persone, gli oggetti e le relazioni».

Come ogni anno, la mattinata si è aperta con l’attesissima analisi dei trend globali a cura di Lisa White, director of strategic forecasting e creative director di WGSN, il principale osservatorio mondiale sulle tendenze. White ha portato sul palco una mappa complessa e affascinante dei prossimi scenari, tracciando un paesaggio in cui l’intelligenza artificiale, le emozioni e il senso di connessione definiranno il modo in cui vivremo, progetteremo e consumeremo nei prossimi anni.

«Usiamo intelligenza artificiale e intelligenza umana per costruire visioni del futuro – ha spiegato – collegando le tendenze a breve e lungo termine per anticipare i cambiamenti nel comportamento dei consumatori». Il suo intervento ha ricordato che, in un’epoca di incertezza, l’elemento più difficile da prevedere resta proprio l’essere umano. E che dietro ogni innovazione si nasconde una richiesta emotiva: il 70% delle decisioni d’acquisto è guidato da fattori emozionali, e il 60% dei consumatori cerca marchi capaci di generare esperienze sensoriali e affettive, non solo prodotti.

Il filo conduttore individuato da WGSN per il 2027 è “Connectedness in Polarities”, la connessione delle polarità. “Viviamo in una tensione continua tra opposti”, ha spiegato White, “e il futuro consisterà nel trovare armonie inattese tra elementi contrastanti: velocità e lentezza, reale e digitale, individualità e collettività”. Da questa intuizione discende un nuovo modo di progettare e comunicare: non più scegliere un lato, ma collegare gli estremi, generando empatia e senso di continuità.

Next Design Perspectives 2025: il design della longevità
Lisa White

La prima polarità affrontata è quella sociale tra io e noi. White ha parlato di una “epidemia di solitudine”, supportata dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: il 23% dei giovani si sente solo, nonostante la connettività perenne. Ma proprio per questo cresce il bisogno di comunità autentiche, di luoghi fisici e simbolici dove ritrovare relazioni reali. Il 66% dei ragazzi dichiara di voler trascorrere più tempo con gli amici, e il viaggio – per il 95% della popolazione americana – resta una delle esperienze più rigenerative. “I sessanta sono i nuovi quaranta”, ha ironizzato White, ricordando come la popolazione che può permettersi di investire su se stessa stia invecchiando in salute: il 60% dei consumatori spende oggi per rallentare l’età biologica e migliorare la qualità della vita. Nascono così le “well-topias”, vere utopie del benessere: resort e Spa d’alta gamma, centri di longevità, programmi di prevenzione e perfino figure aziendali come i longevity coach. In Asia, il fenomeno è ancora più radicale: il 74% della popolazione vuole rallentare il ritmo di vita, e le nuove generazioni pongono il benessere prima della produttività. “È il trionfo di un nuovo lusso,” osserva White, “non più possedere ma stare bene, vivere in equilibrio”. Un lusso che diventa designing communities: costruire rapporti, spazi e rituali che generano connessioni significative.

Il secondo grande capitolo dell’intervento è stato dedicato alla tecnologia, o meglio alla “wise tech”, la tecnologia saggia. «Nel 2027 – ha ricordato – ogni sistema informatico utilizzerà l’intelligenza artificiale in background, ma la vera sfida sarà comunicarne l’uso in modo trasparente». L’82% delle persone desidera capire meglio come funziona la AI, segno che non basta più l’efficienza: serve fiducia. Ancora più rivelatore un altro dato: un terzo degli adolescenti americani ammette di confidarsi con un’intelligenza artificiale. “È un paradosso commovente e inquietante,” ha commentato White. “La tecnologia nasce per connetterci, ma spesso ci isola. Per questo serve un disegno che rimetta al centro l’empatia.” Da qui l’ascesa dei “Quarti Spazi”, luoghi ibridi tra casa, lavoro e socialità, in cui convivono dimensione fisica e digitale. Coworking, lobby di hotel, concept store e centri culturali si trasformano in laboratori del vivere contemporaneo, dissolvendo i confini tra pubblico e privato, tempo libero e produttività. Parallelamente, cresce il bisogno di disconnessione consapevole: dal digital detox alle community offline, fino al boom dei telefoni “low tech” in Canada, strumenti di resistenza all’ansia e alla FOMO.

La riflessione si è poi spostata sull’ambiente, con un invito a progettare per un mondo già mutato con il cambiamento climatico. Il 53% delle persone considera la crisi climatica la seconda preoccupazione globale dopo l’economia, e il 94% dei consumatori europei chiede brand più sostenibili. “La salute climatica è anche la salute dei nostri business,” ha affermato White, indicando la “climate health” come nuovo paradigma progettuale: il benessere dell’ambiente coincide con quello delle persone e delle imprese.

Anche la politica, secondo WGSN, sta cambiando linguaggio. Con il fenomeno del “sharing the stage”, il potere si decentralizza: «Non vince più chi domina la scena, ma chi la condivide», ha spiegato. La leadership del futuro sarà cooperativa, partecipata, costruita attorno alla visibilità condivisa. Cina, Africa e Medio Oriente avranno un ruolo crescente, e sentimenti come rabbia e orgoglio diventeranno agenti di polarizzazione ma anche di rinnovamento.

Infine la creatività, terreno privilegiato del soft power, quello “gentile” che l’Oriente sta esercitando con crescente efficacia. «La capacità di influenzare gli altri non con la forza, ma con la cultura, i valori, lo stile di vita», ha detto White, «è oggi il motore più potente di trasformazione». Corea del Sud, Cina, Giappone, Medio Oriente stanno riscrivendo l’immaginario globale attraverso moda, design, musica e bellezza, trasformando il desiderio in diplomazia culturale. In questo contesto, il design torna a essere gioco, piacere, leggerezza: un “play power” capace di generare connessioni emotive e di costruire fiducia. «Divertirsi è una cosa seria», ha concluso, «perché solo la leggerezza ci restituisce profondità».

Next Design Perspectives 2025: il design della longevità
Nic Palmarini

Dopo questa immersione nei segnali del futuro, la conferenza è proseguita con la sessione Longevità e cura, che ha visto dialogare Nic Palmarini, direttore del NICA–National Innovation Centre on Ageing del Regno Unito, e Barbara Franchin, presidente della Fondazione ITS e fondatrice di ITS Arcademy. Entrambi hanno proposto una lettura ampia del concetto di longevità: un ecosistema di pratiche, spazi e abitudini che valorizzano la salute e la memoria, promuovendo una progettualità empatica e intergenerazionale. Nel suo intervento, Palmarini ha spostato il fuoco della riflessione dal futuro al presente, ricordando che la longevità non è solo una condizione demografica, ma una conquista sociale e culturale. «Viviamo più a lungo e in modo più sano», ha sottolineato, «ma dobbiamo imparare a distinguere la longevità dalla vecchiaia. Sono due concetti diversi: la prima è una possibilità, la seconda una fase della vita».

Per Palmarini, la longevità è anche una questione di benessere diffuso. Non si tratta solo di anni aggiunti alla vita, ma di qualità di vita aggiunta agli anni. È un tema che intreccia economia, salute e progettualità collettiva: «Un Paese che invecchia e non fa figli – ha ricordato – si trova di fronte a una sfida strutturale: mancano i lavoratori, i consumatori, e persino le persone che si prendono cura degli altri». Da qui l’urgenza di ripensare le politiche e le infrastrutture del welfare, ma anche di favorire la salute attiva, perché “abbiamo bisogno di persone in grado di aiutare gli altri, di lavorare e di partecipare pienamente alla vita sociale”.

«L’elemento sociale è il vero segreto per arrivare anziani in salute», ha aggiunto Palmarini. «Nessuna tecnologia può sostituire la forza del “noi”.» Da qui l’invito a superare l’individualismo contemporaneo e a riscoprire la dimensione collettiva, in linea con il tema generale della giornata. “Negare l’io e considerare il noi – ha detto – è la chiave per vivere più a lungo, meglio e insieme.” Nel suo intervento, Palmarini ha ricordato che Italia e Giappone sono i Paesi più longevi al mondo, ma che solo una nuova cultura della longevità potrà trasformare questo dato in un vantaggio e non in un limite. Per questo, ha raccontato, nell’ultima edizione della Triennale è nata la simbolica “Repubblica della Longevità”, un laboratorio di idee e pratiche dedicate all’invecchiamento attivo, ideato insieme a Marco Sammicheli, direttore del Design Museum. 

Uno dei momenti più attesi è stato l’incontro con Norman Foster, intervistato da Boeri e Sammicheli. L’architetto britannico, oggi presidente della Norman Foster Foundation, ha riflettuto sulla relazione tra esperienza e innovazione: «La longevità è una forma di saggezza attiva – ha detto – che non guarda indietro ma illumina la strada davanti». Nel passaggio che ha introdotto il dialogo con Norman Foster, Stefano Boeri ha riportato l’attenzione sul tema della disuguaglianza, ricordando che ogni riflessione sulla longevità (tema della Triennale in corso al Palazzo dell’Arte, Inequalities) deve partire dalla realtà concreta delle persone. «Quando parliamo di qualità della vita e di aspettative – ha detto – non possiamo dimenticare che il luogo in cui si nasce e la condizione sociale determinano in larga misura il futuro di ciascuno di noi». Boeri ha sottolineato come la longevità, da valore universale, rischi di trasformarsi in un privilegio: la possibilità di vivere a lungo e in salute non è uguale per tutti, e dipende dall’accesso a risorse, istruzione, servizi e reti di sostegno. «Viviamo in un tempo in cui la mobilità sociale è sempre più limitata – ha osservato – e in cui le condizioni di fragilità, come quelle dei rifugiati, ci obbligano a ripensare il significato stesso di cura e responsabilità collettiva». Per il presidente di Triennale Milano, il design può e deve diventare uno strumento di equità, capace di migliorare le condizioni materiali ma anche di generare inclusione e appartenenza. Solo così, ha concluso, la longevità potrà essere davvero un progetto condiviso, e non un privilegio di pochi.

Next Design Perspectives 2025: il design della longevità
Il progetto di ricerca Essential Homes di Norman Fopster, 2022-in corso. Prototipo di unità, parzialmente completato per Costa Rica Row Housing © Norman Foster Foundation (Pablo Gomez-Ogando)

Nel dialogo con Stefano Boeri e Marco Sammicheli, l’architetto Pritzker Norman Foster ha offerto una riflessione lucida e ottimista sul ruolo del progetto come motore di futuro. «Noi progettiamo per il presente – ha detto – ma anche per un futuro che ancora non conosciamo. È quindi necessario mantenere un atteggiamento ottimista, perché ogni architettura nasce da un atto di fiducia nel domani». Ripercorrendo la sua esperienza, Foster ha ricordato come già negli anni Sessanta si affacciassero le prime visioni di un “movimento verde”, mentre nei Settanta il luogo di lavoro diventava il laboratorio dove sperimentare nuovi modelli di benessere. «Un ufficio ben progettato – ha spiegato – con aria, luce naturale e presenza di verde, rende le persone più felici e più produttive. L’ambiente in cui viviamo e lavoriamo ha un impatto diretto sulla nostra salute e sulla durata stessa delle nostre vite».

Negli ultimi decenni, ha osservato, il passaggio dall’analogico al digitale ha trasformato radicalmente i nostri spazi, e l’architettura è chiamata a rispondere con la stessa flessibilità. Da qui la necessità di ripensare anche le infrastrutture della cura: ospedali e centri sanitari “a prova di futuro”, capaci di adattarsi a nuove tecnologie e bisogni. Mostrando l’immagine di un centro oncologico immerso nella luce, con una serra integrata e spazi modulari che bilanciano privacy e apertura, Foster ha spiegato che «la flessibilità è la forma più avanzata di empatia». Per l’architetto britannico, la longevità non è solo un tema biologico ma una pratica di progetto: «Come l’architettura, deve dialogare con altre discipline, aprirsi alla scienza, alla tecnologia, alla medicina, all’arte». La sfida, ha detto, è costruire ambienti che migliorino la vita di chi li abita e che possano evolvere nel tempo.

Foster ha poi affrontato il tema dei rifugiati, mostrando un prototipo di abitazione modulare da 15.000 dollari, progettata dal suo studio per essere assemblata e affiancata ad altre, così da creare comunità e non solo rifugi temporanei. «L’abitare è un diritto – ha ricordato – e anche in situazioni di emergenza la dignità deve restare al centro del progetto». Parlando del futuro delle città, Foster ha ricordato che gli insediamenti urbani generano oggi il 90% della ricchezza mondiale e, al tempo stesso, il 70% delle emissioni di gas serra. «Le città assorbiranno gran parte dell’aumento demografico globale», ha spiegato, «ma sono anche il luogo dove possiamo cambiare rotta. Qui si gioca la partita più importante: come progettare spazi più equi, sostenibili e capaci di migliorare la vita delle persone». Per Foster, infatti, il design non è mai una questione di stile, ma di risposte intelligenti a esigenze reali, presenti e future. «Il design migliore – ha concluso – è quello che anticipa i bisogni e traduce la complessità in chiarezza. È un atto di speranza che tiene insieme etica, bellezza e conoscenza condivisa».

Next Design Perspectives 2025: il design della longevità
Jeanne Autran-Edorh, architetto, e Fabiola Büchele, curatrice, fondatrici dello studio NEiDA

Nella parte conclusiva, Nuovi mondi, la conferenza ha spostato lo sguardo verso il Medio Oriente e l’Africa, aree oggi in profonda trasformazione culturale. In dialogo con Sammicheli, Fahad Ahmed Al Obaidly (Biennale di Design Doha), Ahmed Bin Shabib (urbanista e fondatori della rivista Brownbook che racconta le dinamiche contemporanee nella regione Middle East, North Africa, South Asia) e le architette e curatrici Fabiola Büchele e Jeanne Autran-Edorh (fondatrici dello studio NEiDA, tra i più interessanti interpreti del dialogo tra Europa e Africa, con progetti in Burkina Faso e Togo) hanno mostrato come la progettualità stia diventando sempre più un linguaggio di consapevolezza e scambio.

Le ultime due hanno offerto una prospettiva inedita sull’Africa occidentale e sulle economie creative emergenti. «In molti Paesi del Sud globale – hanno raccontato – non esistono veri e propri prodotti industriali: gli oggetti si fanno ancora realizzare dagli artigiani. È una condizione che non nasce dalla nostalgia, ma da una straordinaria vitalità produttiva». L’esempio del Togo, dove lo studio ha lavorato a diversi progetti, mostra un sistema in cui l’assenza di un’industria strutturata diventa un motore di creatività diffusa. L’oggetto nasce dal dialogo diretto tra designer e artigiano, e la forma finale è il risultato di una negoziazione continua tra tradizione e invenzione. «Ogni pezzo racconta una storia locale, e proprio per questo parla un linguaggio universale», hanno spiegato. Per Autran-Edorh e Büchele, il futuro della progettazione passa anche attraverso nuovi assi di dialogo tra Sud e Sud, Est ed Est del mondo, capaci di scardinare il tradizionale asse occidentale e Nord-centrico della produzione culturale. L’obiettivo non è solo esportare modelli, ma rinforzare le competenze artigianali e le economie locali per costruire una nuova narrativa del design, radicata nei territori ma aperta al mondo. «L’artigianato è un’eredità da proteggere – hanno concluso – ma al tempo stesso una forza viva, che può indicare nuove direzioni al design globale».

Ne emerge un messaggio chiaro: il futuro del design passa attraverso la capacità di costruire benessere duraturo, di dare valore al tempo e di riscoprire il legame tra cultura e vita quotidiana. Come in ogni Grand Tour contemporaneo, Next Design Perspectives invita a viaggiare tra idee, persone e territori per capire che la vera innovazione nasce sempre da una forma di attenzione: verso ciò che resiste, evolve e continua a significare.

Next Design Perspectives 2025: il design della longevità
Il Padiglione del Togo alla Biennale di Architettura di Venezia 2025. Foto © Matteo Losurdo
Living ©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’articolo Next Design Perspectives 2025: il design della longevità sembra essere il primo su Living.

Deixe um comentário

O seu endereço de e-mail não será publicado. Campos obrigatórios são marcados com *

Rolar para cima