Questa casa con la moquette è un atto di amore per gli Anni 70

Foto David Straight

«Come possiamo vivere nei luoghi che ci appartengono, aggiungendo vita, generazione dopo generazione?» Ivan Mercep, Medaglia d’Oro del New Zealand Institute of Architects, progettista geniale e silenzioso dell’architettura neozelandese, se lo chiedeva spesso.

Classe 1930, cresciuto a Taumarunui, piccola città nella regione del King Country, la sua famiglia arrivava da lontano, in casa parlava croato e sapeva bene cosa volesse dire far parte di una minoranza. «Se poi non te lo ricordavi, ci pensavano i tuoi compagni di scuola a farlo», aggiungeva.

Dopo la laurea alla University of Auckland nel 1954, Mercep inizia a viaggiare fra Canada, Stati Uniti, Messico, Europa e il Mediterraneo.

Di ritorno, fonda lo studio JASMaD, diventato Jasmax con l’ingresso di nuovi soci, e realizza edifici iconici, tra cui il Te Papa Tongarewa – il Museo della Nuova Zelanda – o il complesso della facoltà Marae and Maori Studies dell’Università di Auckland, inaugurato nel 1988.

Negli anni Settanta è stato uno dei pochi architetti pākehā (europeo in māori) a lavorare nell’altro emisfero con la prospettiva di comprendere e ascoltare le culture del Pacifico, nessun intento coloniale.

«Aveva progettato questa villetta, insieme alle altre tre dell’intero complesso, nel 1974 a Herne Bay, Auckland. Ivan stesso ha vissuto qui fino alla sua morte nel 2014, proprio nella residenza di fronte, vicino al mare», spiega Katie Lockhart, a capo dello studio di interior design neozelandese che si è occupato del restauro di questa casa disegnata ormai mezzo secolo fa.

«La residenza ha un accesso diretto al mare, la mia cliente ha nuotato qui ogni estate, inutile dire che era affezionata a questa vista. Quando l’ha acquistata, era molto trascurata, un intervento radicale era indispensabile, ma c’era anche il desiderio di rispettare i valori originari. Anche per questa ragione ci siamo rivolti soprattutto ad aziende locali», aggiunge Lockhart.

È il caso della moquette realizzata da Bremworth, brand specializzato in tappeti e rivestimenti tessili nato nel 1984. «In sintesi, il design è europeo, mentre i muri dipinti di un distintivo colore pesca riflettono un gusto autoctono. Le pareti in compensato di legno kauri e i soffitti di cedro danno eleganza e calore all’insieme».

Questa casa con la moquette è un atto di amore per gli Anni 70
Foto David Straight

Il soggiorno, curiosamente al piano superiore, guarda il mare attraverso vetrate concepite da Mercep in modo da godere della più ampia vista possibile, mentre le camere da letto sono al pianterreno.

«Qui si nota come il colore aggiunga un elemento sostanziale all’architettura, qualcosa di morbido, quasi delicato, tra la durezza delle superfici. Volevo arricchire la struttura della casa con elementi femminili, anche le finestre di vetro sabbiato appartengono alla stessa filosofia. C’è poi un altro aspetto non secondario, questa tipologia di abitazioni tradizionalmente aveva molti mobili integrati, un tema che abbiamo sviluppato ulteriormente nel restyling. In un costante equilibrio tra l’essenzialità della struttura e le esigenze di stile della mia cliente».

A illuminare gli spazi, luci da parete vintage in vetro di Murano e appliques su disegno.

Questa casa con la moquette è un atto di amore per gli Anni 70
Foto David Straight

«Moquette morbide e velluti hanno fatto il resto», prosegue. «In un certo senso, la casa sembra europea ma dialoga e si mescola alla cultura della Nuova Zelanda. Non c’è dubbio, il villino riflette esattamente il carattere della sua proprietaria che fin dall’inizio è stata chiara su un punto: no a uno spazio fitto di oggetti. Per questo l’abbiamo arredata in modo molto leggero, come una sorta di tela da arricchire con i pezzi che più ama, raccolti durante viaggi in giro per il mondo», continua Lockhart.

«Ogni progetto muta a seconda di chi lo abita. Cambia umore, tono, segue l’immaginazione dei clienti. Con i futuri abitanti trascorriamo giornate intere a discutere, è il passo che precede il percorso progettuale vero e proprio. Prima di tuttdo l’ascolto, come faceva Ivan Mercep».

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