Caro Arch. Prezzavento, ho esaminato con attenzione le sue opere e le esprimo le mie più vive congratulazioni.
Quando incontro un architetto autentico, per me è una gioia
Bruno Zevi, 1997
Nel paesaggio delle Marche, che alterna con naturalezza borghi in pietra, alture silenziose e orizzonti lontani, l’opera di Innocenzo Prezzavento si mimetizza. È una presenza discreta, radicata nel territorio. È lì, nascosta da qualche parte tra le colline, e quando la si scorge, sorprende a tal punto da rimanere impressa nella memoria e chiedersi come sia stato possibile non notarla (o conoscerla) prima. Nato a Parma nel 1938 ma ascolano fin dall’infanzia, Prezzavento ha saputo tessere un dialogo raro con la natura e il costruito. Studia tra Napoli e Firenze, laureandosi nel 1968 con Leonardo Ricci. Centrali per la sua formazione sono le figure di Roberto Pane, Nello Aprile, Michele Capobianco, Ludovico Quaroni, Piero Sanpaolesi e Giovanni Michelucci, ma anche i maestri del fare: fabbri, falegnami, artigiani che gli insegnano, sin da giovane, a comprendere la materia prima ancora della teoria. Negli anni Settanta inizia a definire quella che diventerà la sua cifra stilistica, una simbiosi profonda tra costruzione e paesaggio. Due opere, in particolare, condensano questa tensione e ne esplicitano i significati: La Villa Di Giambattista, denominata la “Casa nella collina” e realizzata ad Acquasanta Terme (AP) nel 1971, e Villa Fioretti, chiamata anche la “Casa sulla collina”, risalente al 1978.

La prima si insinua nel terreno più che posarsi su di esso. È un’architettura che sembra scaturita dalla terra, come una piega del suolo che diventa abitazione. Si mimetizza nella topografia, piegandosi con essa. Qui l’architetto agisce con rispetto e misura: la villa non invade, ma si adatta, respira col paesaggio e sembra crescere direttamente dalla terra, trasformando il pendio in cui è inserita in una sequenza di vassoi in cemento armato e aperture vetrate. «La strada del borgo, la improvvisa scarpata, il breve pianoro sovrastante, il fianco cespuglioso della collina, il ripido sentiero ai pascoli alti, alla caccia e ai tartufi; il luogo stesso si è fatto casa e forse architettura», così la descriveva Innocenzo Prezzavento sui suoi taccuini mentre “scolpiva” la collina fino a renderla “casa”. Le curve di livello vengono assorbite dall’abitazione e si trasformano in terrazzi sovrapposti, la ripida mulattiera diventa una scalinata, la pozza d’acqua (un tempo l’abbeveratoio del pascolo) si fa piscina. I materiali da costruzione sono quelli del luogo: terra, rocce, acqua, alberi, cespugli, prati. Unici elementi artificiali sono il vetro e il cemento armato, impiegato per la struttura. Anche i colori rimandano alla materia stessa: il grigio delle rocce, il verde dei cespugli e dei prati, il giallo della sabbia, il verde chiaro dell’acqua. La villa si sviluppa su quattro piani: dal basso verso l’alto si trovano la zona giorno, la zona notte e quella per gli ospiti. Nel basamento si collocano garage e scuderie.

Tre anni dopo, a Valle Senzana, sempre nell’ascolano, Prezzavento costruisce per la famiglia Fioretti una dimora altrettanto espressiva. La collina non è più un accogliente ventre, ma diventa podio, e la villa vi si erge sopra. È un’architettura in dialogo con l’orizzonte, guarda lontano, ma resta ancorata alla terra. La composizione si fa qui più articolata, come se la casa si scomponesse in volumi autonomi e sinuosi che si rincorrono lungo il pendio. Prezzavento diluisce il gesto architettonico: due solai ridisegnano la cima del colle, mentre giardini pensili e volumi sospesi, sovrapposti senza gerarchie, dissolvono il confine tra architettura e paesaggio. La villa, scrive Prezzavento, «è costruita con la terra e la vegetazione, il cemento funge solo da supporto strutturale; le ultime curve di livello della sommità della collina sono state modellate ad abitazione: l’edificio, senza dimensione, è sfumato nel territorio e non c’è alcun confine definibile tra artificiale e naturale». Anche la distribuzione degli spazi risulta atipica: funziona per piano, ma ognuna delle bolle cilindriche di cui si compone l’architettura è autonoma e corrisponde alle diverse camere. Al piano terra, prendono posto la sala da pranzo con due cucine, tre camere da letto, i locali di servizio e il garage. La sala da pranzo e le due camere principali sono trattati come elementi autonomi che dialogano direttamente con il piano soprastante attraverso tre scale a chiocciola indipendenti che portano rispettivamente al soggiorno, allo spazio studio-gioco e all’uscita diretta sul verde. Tra spazio interno e vista esterna vi è solo un nastro vetrato che corre lungo tutto il profilo fluido dell’edificio, schermato all’occorrenza da pannelli mobili, per creare, su richiesta della committenza, un luogo che fosse «letteralmente senza pareti per i momenti dell’ottimismo, del sole e della festa, e una casa bunker per i momenti di timorosa solitudine», spiega ancora il progettista.

A distanza di mezzo secolo dalla loro realizzazione, le due iconiche ville di Prezzavento tornano al centro dell’attenzione anche grazie allo sguardo attento del designer e artigiano di Porto San Giorgio Marco Ripa (fondatore del brand RIPA, marchio contemporaneo specializzato nella realizzazione di oggetti in metallo), che ha scelto di dedicarvi una tappa del progetto fotografico Scatti di Marca: un racconto per immagini delle sue ultime collezioni che intreccia design, arredo e paesaggio costruito, riscoprendo la forza visiva e il valore progettuale di architetture poco conosciute delle Marche. L’incontro con l’opera dell’architetto avviene così, per vicinanza di sensibilità: un modo di intendere il progetto come gesto misurato, costruito intorno ai materiali e alla geografia dei luoghi.

Il cemento di Prezzavento, modellato con sensibilità paesaggistica addomesticando le curve di livello, lavorando per sottrazione fino a dissolvere il confine tra artificio e natura, trova dunque una controparte nel metallo di RIPA, che viene piegato, sagomato, levigato in profili sinuosi fino a perdere ogni traccia di fatica manuale. È proprio da questa affinità che nasce anche Triangolo, un ingegnoso sistema modulare di tavoli progettato da Prezzavento nel 1971 e da allora rimasto su carta. RIPA lo produce per la prima volta, utilizzando sottili lamiere compatte di alluminio, riportando alla luce un disegno che ancora oggi parla la lingua del presente. Viene presentato in occasione della Milano Design Week 2025 nell’ambito di Convey.
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