La casa è in un palazzo della Torino albertina, non lontano da Piazza Vittorio. È quella che si dice una metratura importante: solo la stanza da letto del figlio è grande trentaquattro metri quadri.
Barbara Brondi e Marco Rainò dello studio BRH+ hanno pensato il progetto per una coppia che conoscono bene, presenze costanti anche nella loro vita professionale di architetti-curatori.
Lui è un imprenditore, collezionista e figlio d’arte, lei un’artista. «Naturalmente sappiamo della loro passione per l’arte», dice Rainò, «ma devo dire che il tema del collezionismo, nel briefing, è sempre rimasto sottaciuto. Da buoni torinesi, aggiungerei».
La priorità era lo spazio: «Ci hanno semplicemente chiesto ambienti ampi, aperti e il più possibile luminosi». Si è trattato essenzialmente di una rifunzionalizzazione. «La cosa interessante, per noi, era mantenere vivo l’impianto ottocentesco portandolo a nuovi livelli di comfort. In sostanza, il grosso del lavoro che abbiamo fatto non si vede».
La tecnologia, oltre che efficace, doveva essere una presenza discreta: «Non essere invasivi è sempre complicato e lo è ancora di più in un contesto storico come questo. La fatica che fai per non uscire dalle righe alla fine non la nota nessuno, ma noi siamo molto contenti del risultato».
Il parquet originale, tavole di noce alte tre centimetri e mezzo piallate a mano, è stato in parte sollevato per fare spazio alle tubature e poi restaurato sostituendo i filetti di legno che nei secoli si erano ammalorati. Ugualmente accurato, ma allo stesso tempo minimo, anche il lavoro sugli affreschi, di fatto una pulizia e qualche piccolo ritocco dove necessario.

Nel salone, che era stato oggetto di tanti rimaneggiamenti, si è deciso di risalire al decoro iniziale senza però intervenire sullo stato di conservazione. In un certo senso, un’operazione concettuale: «Diciamo che è stata una ristrutturazione molto rispettosa del bene originario. Più un portare alla luce che sovrapporre altre cose».
Marco Rainò e Barbara Brondi hanno disegnato tutti gli arredi fissi, ed è in questi che viene fuori il loro animo sperimentale. Sono contenitori funzionali che orientano il prospetto della stanza e incorporano passaggi segreti.

Questi arredi sono lunghi e tesi, in questo un po’ severi, ma hanno anche un’intenzione ironica: «Il gioco è scoprire che esistono passaggi dove non ti aspetteresti, vani nei vani, luoghi imprevisti».
È un meccanismo per includere, ma anche per escludere, parti della casa: in cucina, ad esempio, quella che sembra l’anta di un armadio si apre su un ambiente-filtro che conduce nella stanza del figlio. Nell’ingresso, un’altra porta si mimetizza nel blu, e non diresti mai che dietro ci siano un bagno e un ammezzato con la cabina armadio.
La stessa idea di illusionismo si ritrova in altre scelte progettuali, come quella di usare gli specchi all’ingresso per riflettere il bellissimo pavimento in seminato, che è stato in parte coperto dagli arredi. In questo modo, con una specie di trucco, ritrova una sua continuità. Sui materiali è stata fatta molta ricerca, e anche qui qualche esperimento.
Si è fatta una grandissima selezione di pietre, ad esempio, che ha portato alla scelta dell’onice velluto per la cucina e il tavolo che ti accoglie all’ingresso, mentre il parquet nella camera è un modello di serie personalizzato appositamente per questa casa. «Abbiamo chiesto all’azienda che lo produce di fare due innovazioni», spiega Rainò.
Con il beneplacito di Patricia Urquiola, che ha disegnato quella linea di prodotto, è stata modificata la forma e sperimentato un colore speciale, nero antracite con una vena d’argento.
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